La guerra civile nel mondo islamico è vicina all'esplosione. Non a caso può cominciare in Irak, non perché sia «occupato» da truppe di «infedeli», ma perché l'Irak si trova nel cuore della regione mediorientale e la sua popolazione è divisa tra una maggioranza sciita (circa il 55-60%) e una minoranza sunnita (circa il 30-25%). L'Irak è stretto tra l'Iran, Paese-guida del mondo sciita (che rappresenta circa il 10% dell'intera comunità musulmana mondiale), e l'Arabia Saudita, Paese-guida del più vasto mondo sunnita e custode dei principali Luoghi Santi islamici. Perciò in Irak si gioca una partita forse decisiva per stabilire la supremazia di queste due principali correnti religiose, seppure relativamente alla regione del Medio Oriente.
Questa contesa plurisecolare ha avuto una accelerazione a partire dal 1979, quando il clero sciita, guidato dall'ayatollah Khomeini, prese il potere in Iran e orientò in senso anti-occidentale la politica di Teheran, che fino a quel momento, facendo perno sullo Scià, era filo-americana e filo-israeliana. Khomeini demonizzò subito gli Stati Uniti e Israele, rispettivamente il Grande e il Piccolo Diavolo, e in genere l'Occidente per i suoi principi, ma questo era strumentale poiché il suo obiettivo era di creare un forte consenso popolare intorno al regime per affrontare il vero antagonista, l'Arabia Saudita e il mondo politico-religioso sunnita.
Utilizzare i valori religiosi islamici contro l'Occidente, e in particolare contro Israele, era il sistema più semplice per creare una massa d'urto e contagiare i musulmani degli altri Paesi. A questa offensiva il mondo sunnita ha risposto con la strategia di Al Qaida: stessa ostilità contro l'Occidente e contro Israele per coagulare il sostegno delle masse.
Di questo scontro, tutto interno al mondo islamico, che deve risolvere il problema di come rispondere alla sfida del mondo moderno che lo circonda e, a suo dire, lo sfrutta, ha fatto le spese anzitutto la pace in Medio Oriente poiché tutti i tentativi di risolvere la questione israelo-palestinese sono falliti grazie alla perpetuazione del terrorismo, incoraggiato in modo concorrenziale sia da ambienti sciiti sia da ambienti sunniti: acquista più credibilità nell'intero mondo musulmano chi riesce a tenere in scacco Israele, negandogli la pace e la legittimità.
Il terrorismo, sia in Israele sia in altri Paesi, non solo occidentali (11 settembre e attacchi successivi) serve come «biglietto da visita» per l'una e l'altra parte. È una tragica gara. Cominciarono gli sciiti iraniani, con l'assedio all'ambasciata americana a Teheran, e adesso rilanciano con la prospettiva di dotarsi dell'arma nucleare, per affermare un vantaggio di assoluto prestigio. Quanto ai sunniti, ci pensa Al Qaida, prima con attentati spettacolari, poi con l'azione in Irak per ostacolare quella pacificazione e democratizzazione che farebbero di questo Paese una eccezione nel mondo islamico mediorientale e delegittimerebbero la grande guerra civile tra sciiti e sunniti. Sempre per cercare di apparire i più bravi e i più decisi contro l'Occidente, anche elementi sciiti sono presenti in Irak.
Gli uni e gli altri rivendicherebbero il successo di un ritiro degli stranieri/infedeli di fronte allo scoppio di una guerra civile. Ma questa rimane l'obiettivo e forse qualche testa pensante del mondo islamico ha ritenuto giunto il momento di farla esplodere con l'attentato al santuario di Samarra, che come primo risultato ha avuto quello di bloccare la trattativa per la formazione del nuovo governo iracheno.
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