L’Iran comincia con le minacce Fermata nave italiana nel Golfo

Una nave italiana fermata per un’insolita ispezione nello stretto di Hormuz proprio mentre il governo di Teheran ritorna con una propria dichiarazione sulla questione dei due cittadini arrestati all’inizio di marzo in Italia con l’accusa di traffico di armi. Dichiarazione che individua, con scarsa fantasia in verità, negli Stati Uniti i responsabili di un presunto tentativo di guastare le relazioni bilaterali tra l’Italia e l’Iran.
Lo stop al cargo italiano «Scorpius», una colossale nave cisterna lunga 233 metri, è avvenuto ieri mattina. La nave, di proprietà degli armatori romani «Fratelli D’Amico», proveniva da Singapore ed era diretta a un porto commerciale iraniano. È stata fermata insieme con un’altra nave battente bandiera francese da una pattuglia della marina dei Guardiani della Rivoluzione (i “pasdaran”), che in un proprio comunicato hanno spiegato l’iniziativa con la necessità di verificare se la Scorpius stesse «rispettando le norme ambientali». L’ispezione alla «Scorpius» è durata circa 40 minuti, dopodiché le è stato consentito di prosegurie per la sua destinazione.
La nota prosegue precisando che la perquisizione è stata eseguita in un’area dove da giovedì scorso si stanno svolgendo esercitazioni militari in cui vengono impiegati anche missili di vario tipo. Manovre, ha affermato un generale dei pasdaran, che servono a verificare la capacità dei Guardiani della Rivoluzione di «mantenere la sicurezza del Golfo Persico, dello stretto di Hormuz e del Golfo dell’Oman». E che peraltro vengono svolte con una certa frequenza negli ultimi tempi.
Quello che invece non sembra né normale né casuale è la coincidenza di questa strana ispezione a una nave battente bandiera italiana con il ritorno della diplomazia iraniana sulla questione degli arresti di Milano. Una coincidenza che dà l’impressione di voler far balenare la possibilità di esercitare delle pressioni sull’Italia. Non solo attraverso “ispezioni” che potrebbero assumere in teoria una più varia natura, ma anche ricordando obliquamente al nostro governo l’opportunità di «salvaguardare i propri interessi nazionali» senza lasciarsi «condizionare da influenze americane».
Il portavoce del ministro degli Esteri iraniano ha infatti detto in una intervista telefonica alla Tv pubblica iraniana che le accuse contro il giornalista Hamid Masouminejad e l’altro cittadino iraniano Ali Damirchilou «sono totalmente prive di fondamento». Masouminejad «è un giornalista professionista e sembra che la vera ragione del suo arresto consista nell’esercitare pressioni su tutti i giornalisti iraniani che lavorano nel mondo». Poi l’“avviso” all’Italia di distanziarsi da Washington: «Crediamo che la guerra psicologica che gli Stati Uniti hanno avviato sia totalmente inefficace. Abbiamo sempre avuto relazioni positive con l’Italia e raccomandiamo alle autorità italiane di non cadere nel gioco americano e di salvaguardare invece i propri interessi nazionali». Frasi che sembrano tra l’altro insinuare che la magistratura italiana abbia agito su istigazione degli Stati Uniti, i quali avrebbero interesse a guastare i rapporti tra Iran e Italia.
Mercoledì scorso, ha riferito sempre la televisione pubblica iraniana (e il nostro ministero degli Esteri conferma la notizia), il nostro ambasciatore a Teheran Alberto Bradanini è stato convocato presso la Commissione Esteri del Parlamento «per dare informazioni sulla situazione dei due iraniani arrestati».
Intanto, Teheran ha reso noto di avere rinunciato alla sua candidatura al Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu, che aveva suscitato reazioni internazionali, ma anche nella stessa opposizione in Iran, molto critiche. In particolare si erano espresse contro questa eventualità le organizzazioni dei diritti umani e diversi governi occidentali.

La stessa Premio Nobel per la Pace 2003, Shirin Ebadi, aveva scritto una lettera aperta nei giorni scorsi ad alcuni dei 192 membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per invitarli a votare contro le aspirazioni del suo Paese. La rinuncia iraniana apre la porta all’ingresso nel Consiglio di altri quattro Paesi asiatici: la Thailandia, la Malaysia, il Qatar e le Maldive.

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