L’Iran: «No all’ultimatum Onu non temiamo le conseguenze»

A Berlino i Cinque Grandi ribadiscono il termine di trenta giorni per bloccare l’arricchimento dell’uranio

Salvo Mazzolini

da Berlino

Assomiglia sempre più a una partita a scacchi quella che si sta giocando tra l'Onu e Teheran sul futuro del programma nucleare iraniano. Da Berlino, dove ieri si sono riuniti i ministri degli Esteri di quattro delle cinque potenze che siedono nel Consiglio di sicurezza con diritto di veto - Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina (Pechino era rappresentata da un vice-ministro)- è stato inviato a Teheran un ultimatum: entro trenta giorni, come deciso la sera precedente al Consiglio di sicurezza, l'Iran deve sospendere qualsiasi progetto finalizzato all'arricchimento dell'uranio, aprire le porte dei suoi impianti agli ispettori dell'Aiea (l'Agenzia internazionale per l’energia atomica, organismo delle Nazioni Unite) e tornare al tavolo delle trattative per trovare una soluzione diplomatica.
Secca e immediata la risposta iraniana. «Non accettiamo ultimatum, andremo avanti con il nostro programma», ha detto il rappresentante di Teheran all'Aiea. Ancora più duro il suo ministro degli Esteri, Manouchehr Mottakj: «Nessuno in Iran è pronto a rinunciare al diritto inalienabile di accedere all'uso delle tecnologie nucleari a scopi pacifici. Non ci saranno cambiamenti nei nostri piani né oggi né tra trenta giorni. Siamo preparati per affrontare ogni possibile conseguenza». Insomma muro contro muro. Ma dietro la facciata intransigente emergono toni e sfumature che lasciano pensare che la partita sia ancora aperta e che entrambe le parti ritengano di avere ancora buone carte da giocare.
Intanto negli interventi dei cinque ministri degli Esteri riuniti a Berlino (all'incontro era presente anche il ministro degli Esteri tedesco, Frank Walter Steinmeier, poiché la Ger- mania fa parte, insieme a Francia e Gran Bretagna, della troika, l'organo che finora ha negoziato con Teheran nella speranza di trovare una soluzione che evitasse un intervento dell'Onu) sono affiorati accenti diversi. Tutti hanno appoggiato l'iniziativa di porre una scadenza precisa entro la quale l'Iran deve sospendere i suoi piani nucleari e tornare a trattare. Sia il segretario di Stato Condoleezza Rice che il suo collega inglese, Jack Straw, hanno sottolineato che non è riuscito il tentativo di Teheran di dividere il fronte dei Paesi preoccupati che i piani iraniani siano finalizzati a procurarsi armi atomiche e non solo a scopi civili.
Ma non tutti sono d'accordo sui possibili scenari se Teheran, come è molto probabile, non rispetterà l'ultimatum. Straw e il ministro francese Philippe Douste-Blazy non escludono sanzioni ed altre misure «negative». Il capo della diplomazia russa, Lavrov e il vice-ministro cinese Dai Bing Guo hanno detto chiaro e tondo che non credono nelle sanzioni e che la via da percorrere è sempre quella di una soluzione diplomatica. Alcuni sono falchi, altri colombe. Ed è su questa diversità di toni che punta Teheran. Una prima mossa l'ha già fatta.
Nella stessa dichiarazione con cui respingeva l'ultimatum, il ministro degli Esteri iraniano ha lanciato una nuova proposta: quella di continuare il programma nucleare nell'ambito di un consorzio regionale sotto la sorveglianza dell'Aiea. Proposta incompleta e confusa, ma mirata a spezzare l'unità tra falchi e colombe.

Una mano sul freno l’ha messa in serata il direttore dell’Aiea, l’egiziano e premio Nobel per la pace Mohamed el Baradei, il quale ha detto che l’Iran non costituisce una «una minaccia immediata» e si è espresso contro eventuali sanzioni.

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