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L’Iran prepara 40mila kamikaze «Siamo pronti anche alla guerra»

Erica Orsini

da Londra

L'Iran non rinuncia ai suoi programmi nucleari. Gli avvertimenti e le preoccupazioni di mezzo mondo non spaventano la repubblica islamica sempre più decisa a proseguire nel suo cammino. A dichiararlo ancora una volta ai giornalisti è stato l'ex presidente iraniano Hashemi Rafsanjani, nel corso di una visita in Kuwait. «L'Iran continuerà ad arricchire l'uranio - ha detto l'esponente iraniano - ma i vicini del nostro Paese non hanno nulla da temere dal nostro programma nucleare che è legato al Trattato di non proliferazione nucleare ed è controllato dall'Agenzia per l'energia atomica dell'Onu».
Le parole di Rafsanjani trovano piena conferma anche nelle dichiarazioni rilasciate a Mosca dall'ambasciatore iraniano in Russia, Gholamreza Ansari («L'Iran è pronto alla guerra, se sarà attaccato per il suo programma nucleare, ma intende compiere il “massimo sforzo” per risolvere la tensione con la comunità internazionale per mezzo di negoziati pacifici») e dal capo negoziatore della repubblica islamica Ali Larijani, a capo del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale. «Perché dovremmo sospendere le nostre ricerche? - ha detto Larijani rifiutandosi di accogliere l'invito del Consiglio di sicurezza dell'Onu - proseguiremo le nostre attività con pazienza». Il responsabile iraniano ha poi liquidato con noncuranza le dichiarazioni di Condoleezza Rice che aveva ventilato l'ipotesi di una risoluzione Onu che non escludesse l'uso della forza contro Teheran. «Il tempo del linguaggio della forza e delle minacce è finito» ha concluso Larijani che ha invitato i cinque membri permanenti delle Nazioni Unite e la Germania, riuniti oggi a Mosca a «non ripetere gli errori del passato» nel decidere come procedere sul dossier iraniano. Niente più ultimatum insomma, «come nella dichiarazione di Londra del 30 gennaio» ma il sostegno di «un'atmosfera in cui la porta del dialogo costruttivo rimanga aperta». Anche se l’Iran fa capire che non esiterà ad usare le armi più subdole del terrorismo internazionale, se l'Occidente tentasse di fermarlo.
Secondo fonti iraniane citate dal Sunday Times ci sarebbero quarantamila kamikaze pronti a colpire Stati Uniti e Gran Bretagna nel caso i due Paesi decidessero di attaccare l'Iran. La minaccia arriva da Hassan Abbasi, direttore del Centro Studi Strategici dei Guardiani della rivoluzione. La registrazione di un suo discorso è stata ascoltata dai giornalisti del settimanale britannico che ne ha riportato i passi più salienti. «Siamo pronti a colpire obiettivi sensibili americani e inglesi - ha detto Abbasi - se saranno attaccate le installazioni nucleari iraniane». Di questi obiettivi 29 sarebbero già stati individuati ed alcuni di questi sarebbero «piuttosto vicini alla frontiera tra Iran e Irak».
Nella registrazione mette in guardia gli aspiranti suicidi dall'«astuta Inghilterra» garantendo che «la distruzione del Regno Unito» figura tra gli impegni principali della sua agenda. E dei nuovi timori per lo stato di avanzamento del programma nucleare iraniano si è occupato anche il New York Times. Secondo alcuni esperti citati nell'edizione online del quotidiano, alcune dichiarazioni del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad sulle ricerche relative ad un tipo avanzato di centrifughe destano preoccupazioni sempre più forti. «L'Iran non sospenderà l'arricchimento dell'uranio - aveva affermato giovedì scorso il presidente - le nostre centrifughe sono di tipo P1 e la tappa successiva sarà quella delle centrifughe P2, la cui capacità è quattro volte maggiore e sulle quali stiamo conducendo delle ricerche».
Secondo il parere di funzionari americani e ispettori internazionali citati dal giornale, quello a cui ha accennato Ahmadinejad sarebbe un sistema di produzione di combustibile atomico molto più sofisticato in grado di accelerare lo sviluppo di un'arma nucleare. In passato Teheran aveva detto di aver abbandonato gli studi sulle centrifughe e adesso gli esperti del New York Times «scottati dall'esperienza irachena» sono consapevoli di dover prendere con le pinze ogni dichiarazione degli esponenti iraniani. Ammettono infatti di «non sapere se quanto detto dal presidente Mahmud provi un reale avanzamento tecnologico o se si tratti invece di banale retorica politica». In un clima sempre più teso trova infine spazio anche l'ipotesi di un colloquio «diretto» sulla questione nucleare tra Washington e Teheran.

Sarebbe questa la posizione di alcuni senatori Usa, come ha riferito ieri la Bbc online, tra cui anche il presidente repubblicano della commissione esteri Richard Lugar.

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