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L’Iran studia una legge per «nascondere» le donne

Nonostante le promesse il nuovo Presidente sta pensando a norme che impongano regole più severe sull’abbigliamento delle ragazze

Gian Micalessin

Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad c'aveva già provato, e c'era riuscito benissimo, non appena eletto sindaco di Teheran. Nel 2003 una delle sue prime preoccupazioni era stata quella di ristabilire l'integrità dei costumi negli uffici e nei corridoi del municipio di Teheran. Così pochi mesi dopo la sua nomina a sindaco le impiegate comunali tornarono a coprirsi da capo a piedi e gli impiegati ripresero a farsi crescere la barbetta simbolo del buon fedele.
Ora Ahmadinejad e il suo governo potrebbero aver chiesto al parlamento, controllato dai conservatori, di studiare una legge per ristabilire l'ordine a livello nazionale e riportare sulla retta via tutte le donne iraniane impiegate nell'amministrazione pubblica. La nuova legge farà piazza pulita di tutte le liberalizzazioni di fatto che - dopo la salita al potere del presidente riformista Mohammed Khatami nel 1997 - resero desuete le regole dell'hejab imposte dopo la rivoluzione islamica del 1979. Quelle regole ufficialmente non sono mai state abolite, ma a Teheran e nelle principali città del paese due terzi delle donne non rispetta più l'imposizione di coprirsi dalla testa ai piedi, di indossare uno chador per nascondere ogni forma del corpo e di non lasciar sporgere dal velo neppure una ciocca di capelli. Il velo scivola spesso fin sotto la nuca, i calzoni finiscono a metà caviglia scoprendo scarpe con il tacco alto e lo chador si trasforma in un sottile e colorato scialle avviluppato ai fianchi e al seno.
Le abitudini, perdute nelle strade e nei ristoranti, sono rimaste immutate all'interno dell'amministrazione statale dove le impiegate, a differenza delle loro colleghe del comune di Teheran, hanno continuato a rispettare le regole dell'hejab. In nessun ministero si vedono impiegate esibire chiome fluenti o indossare uno chador di colori diversi dal nero, marron o blu stabiliti dalla legge islamica. In molti uffici sopravvive persino il maghnaeh, il cappuccio usato per tenere a posto anche la più piccola ciocca di capelli che - al di fuori dell'amministrazione pubblica - è prerogativa e simbolo delle sole donne conservatrici.
La nuova legge secondo molte esponenti delle formazioni più liberali non servirebbe dunque a ristabilire l'integrità dell'abbigliamento negli uffici pubblici, ma piuttosto a riconfermare le regole del vestiario sancite dalla legge islamica per ripristinarne l'uso anche al di fuori dai luoghi di lavoro. Una legge resasi necessaria, insomma, per riconfermare la validità della normativa esistente e dare modo ai volontari islamici basiji e alle forze di polizia di far rispettare con rigore le regole del vestiario islamico. Una conferma di quei timori che lo stesso presidente aveva pubblicamente smentito, prima e dopo le elezioni. A chi gli chiedeva se volesse ripristinare controlli più severi per l'abbigliamento femminile Ahmadinejad ha sempre risposto di volersi occupare dei «veri problemi del paese» e di «non voler perdere tempo andando a controllare quanti capelli escono dal foulard di ogni donna». Ma, se a farlo sarà il Parlamento, il presidente potrà tranquillamente affermare di non essersi mai contraddetto. Donne senza freni invece a Kabul dove il consigliere religioso del presidente Karzai, Mohaiuddin Baloch ha invocato «maledizione e sciagura» su due modelle afghane, Sutara Bahramia e Vida Samadzai che a una sfilata di moda a Manila si sono presentate in bikini.

Dal burka al due pezzi è sembrato troppo anche a lui.

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