L’iscrizione blitz dello showman subito congelata dal partito

RomaLa scossa presagita da D’Alema è arrivata. In casa sua però. Basta il frinire di un Grillo e nel Pd è sconquasso totale. Il comico annuncia la sua candidatura a guidare il partito? Sia mai. Altolà all’invasore, è la parola d’ordine dei democratici a eccezione di Mario Adinolfi, Ignazio Marino e Paola Binetti. La quale, pecora nera, apre: «Io sono favorevole, siamo un partito democratico, no?». Tutti gli altri invece fanno a gara nel sommergere di «vaffa...» lo showman.
Poco importa che a norma di statuto Grillo non possa ambire alla poltrona di segretario. Due i motivi: in primis la sua iscrizione al partito è arrivata soltanto ieri, fuori tempo massimo visto che doveva essere precedente al 26 di giugno; in secondo luogo la richiesta della tessera fatta al circolo di Arzachena è invalida perché - giura il segretario cittadino Andrea Filippeddu - «avrebbe dovuto rivolgersi alla sezione del comune di residenza».
Il blogger però tira dritto e minaccia: «Mi sono letto tutto il regolamento e garantisco che non esiste la possibilità di non accettarmi. E se troveranno un comma per non farmi iscrivere ne pagheranno le conseguenze».
Primarie o meno, il terremoto-Grillo scuote le fondamenta del partito con tutti i big impegnati a riempire la cerbottana di cianuro. «Penso che questa sia una boutade, una delle tante provocazioni a cui ci ha abituato un uomo di spettacolo», minimizza Fassino che poi però ringhia: «Un partito non è un taxi sul quale si sale e si scende. E poi Grillo ha sempre manifestato ostilità nei confronti del Pd». La metafora del mezzi pubblici conquista tutti i dirigenti piddini tanto che per Bersani «il partito non è un autobus sul quale salire e fare un giretto e non può essere confuso come una galassia a cui ognuno può partecipare». Porta in faccia pure da lui. Schiuma di rabbia la Melandri che invece cita un altro mezzo pubblico: «Il Pd non è un tram su cui si può salire all’occorrenza. Uno che ha sputato veleno sul partito fin dalla sua nascita non può candidarsi a guidarlo e bisogna aver rispetto per migliaia di cittadini che, a diverso titolo, si sono impegnati per costruire il Pd e che, rispettandolo, ci credono veramente». Vade retro anche da Gentiloni che suggerisce: «Se il desiderio di entrare nella stanza dei bottoni della politica è così irrefrenabile, perché scegliere un partito così lontano dalle sue idee? Si candidi alla leadership dell’Idv».
Una lettura tutta democristiana della candidatura del comico la dà invece Marco Follini, secondo cui il mandante di Grillo sarebbe Di Pietro. E aggiunge: «Lo showman non ha nulla a che vedere con noi e bisogna mettere al bando ogni ammiccamento a quella demagogia triviale di cui Grillo è campione. È stata la innaturale alleanza con l’Idv che ci ha messo nelle condizioni di dover subire intrusioni nella nostra breve vita di partito». Poi il refrain: «Ripropongo la fine dell’alleanza con Di Pietro». Già, e Di Pietro? L’ex pm chiaramente sorride, pronto a incassare altri consensi dopo l’ennesima baruffa in casa democratica: «Vedo che molti nel Pd fanno a gara per irridere la sua candidatura a segretario; eppure il suo è l’unico programma esposto, molto più articolato delle idee che finora abbiamo sentito dagli altri candidati».
Naturalmente pro Grillo pure Travaglio che, nella sua rubrica quotidiana on line, sbeffeggia Franceschini & C.: «Interessante la reazione del politburo, dei parrucconi del Pd: “Tu non hai i titoli, stai fuori”. Eccole le muffe incrostate, poveretti, mucchietti di ossa. E più si incazzano più dimostrano di avere paura. Sono alla canna del gas».
Nella maggioranza si ha la sensazione di sparare sulla croce rossa: «Ci mancava solo questa - riflette La Loggia -.

Così il Pd conferma di essere nel caos più totale, spaccato in due da un’infinità di polemiche». Capezzone invece si augura che «questa confusa fase congressuale non porti allo sfascio. E c’è da sperare che, almeno, sappiano tenersi lontani da Grillo e soprattutto dai veleni e dal giustizialismo dipietrista».

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