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L’ISLAM CHE CONQUISTA CON UN SORRISO

Hanno meno di 30 anni, spesso sono donne e hanno fan in tutto il mondo. Sono i nuovi comici musulmani che sparano solo battute

Yassir è un ragazzo di fegato. È algerino, intorno ai trenta, vive a Parigi da sette anni. Ed è pericoloso. Molto pericoloso. Innanzitutto perché Yassir non è il suo vero nome. Poi perché pochissimi sanno dove sta di casa. È soprattutto perché ha piazzato una bomba in ogni libreria e non è la prima volta che lo fa. Una bomba contro i terroristi islamici. Una bomba che fa morire dal ridere. Già questo mette i brividi. Ridere. Dei kamikaze, della Jihad, del terrore. Già questa è un’impresa suicida. Lui, il pazzo, si chiama Aboud Hichem, alias Yassir Benmiloud, e fa lo scrittore, il musulmano e il provocatore. Lo hanno paragonato a Woody Allen, a Céline, a Lenny Bruce e forse esagerano. Di certo è uno che rischia grosso: gli integralisti lo vogliono morto, i nemici degli integralisti non lo vogliono intorno. L’ultimo pacco bomba che ha confezionato è un tascabile, 170 righe, con una granata sulla copertina, titolo Zero Kill. Ma qualche mese prima ne aveva già piazzato un altro, Allah Superstar. Roba pesante. Roba capace di minare il fanatismo, la doppia morale, i falsi profeti che governano il terrore, il terrore stesso. Yassir non ha pietà. Dei kamikaze: «Dio accolga le loro anime. Ci sono rifiuti che non si possono riciclare...». O della fede senza fede: «Se la religione è l’oppio dei popoli in Algeria è cocaina». La morale ha un sorriso ma amaro: «Oggi l’islam sta benissimo e vi abbraccia. Per contro i musulmani sono ridotti a uno straccio: dittature, pedicure, torture, censure, fregature, sciagure...».
Yassir è il capo di un commando, quasi tutto di donne, quasi tutto sotto i trenta, reclutato in Canada, Norvegia, Francia, Stati Uniti, Gran Bretagna, che vive ai confini della scomunica. Una nuova generazione di comici, con una missione: combattere il fanatismo religioso con una risata, smantellare i luoghi comuni sui musulmani a colpi di battute, mostrare il lato comico dell’islamismo. Una è Sabrina Jalees, 19 anni, origini pakistane, primadonna dei comedy club di Toronto. Carina, spigliata, linguacciuta. L’ispirazione l’ha avuta l’11 settembre: «Dopo il crollo della Due Torri volevo reagire a tutti quei luoghi comuni che ci avevano appiccicato addosso. Pensavo: geniale farlo con una risata». Tissa Hami, una specie di Sconsolata musulmana, usa più o meno le stesse parole. L’undici settembre ha cambiato anche la sua vita. Trent’anni, iraniana di Boston, era esperta di investimenti a Wall Street, ma poi «ero stanca di sentir parlare del Medio Oriente come di un covo di retrogradi fondamentalisti». È salita sul palco, solo un po’ di freddo all’inizio, ora l’America la adora. Anche Azhar Usman, dopo l’11 settembre ha cambiato lavoro, è passato da brillante avvocato alla commedia brillante. Guida un gruppo che piace da matti agli americani, Allah made me funny. Dicono: «Allah ci ha voluti spiritosi perché la risata è il miglior antidoto contro la paura e il pregiudizio». Ammesse tutte le battute tranne quelle sul Corano e sul sesso: «Ma mica per pregiudizio, è che non lo abbiamo mai fatto...». Shabana Rehman, 26 anni, invece voleva fare la scrittrice, poi si è buttata sul cabaret, ha conquistato i norvegesi e le prime pagine delle riviste comprese quelle osée. I suoi successi hanno una dedica in sintonia col personaggio: «Devo tutto ai mullah. Senza di loro non avrei mai fatto tutta questa carriera...».
Ci sono poi Rasul Somji, Omid Djalili, Enis Esmer, Ahmed Ahmed. Ma la più famosa è Shappi Khorsandi, iraniana di Londra, 26 anni, sempre in tv, sempre sui giornali. Vive in Inghilterra, dice, soltanto perché in Iran hanno preso il potere gli ayatollah, ma già il papà, Hadi Khorsandi, finì nei guai per la sua satira contro lo Scià. Non lo salvò la sua fama di poeta, commediografo e vignettista. Nemmeno la nuova patria fu tenera: gli inglesi all’inizio ridevano più di lei che delle sue battute. Giura: «Le persone più divertenti che conosco sono musulmane». Spiega: «Far ridere vuol dire condividire un sentimento, rompere le barriere, legare le persone l’una all’altra». Ride, ma non è ottimista: «L’umorismo è universale ma non riuscirà da solo a ricucire gli strappi tra civiltà».
E Shazia Mirza, 30 anni, anglo-pakistana dalla doppia vita. La mattina insegna Biologia in un liceo di Birmingham, nei quartieri poveri della città, la sera, hijab nero e pantaloni castigati, recita monologhi in agrodolce sulla condizione delle donne arabe. Ha già fatto tournée in tutto il mondo, Americhe comprese, Londra la ama, anche quando, come di recente, ha i nervi a fior di pelle. È stata aggredita fuori dallo spettacolo, ma un’altra volta ad applaudirla in prima fila c’era l’imam. «Ma mi ha confessato di non aver capito bene tutto...». Sorride felice quando mostra le lettere delle sue fan, musulmane come lei: «Mi hai dato il coraggio di uscire, di cercarmi un lavoro, ho capito che se l’hai fatto tu posso farlo anch’io e senza perdere la mia fede».

A volte per ridere ci vuole proprio un bel coraggio.

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