L’Italbici dietro la lavagna espierà nei tapponi alpini

Dopo la vergogna dell'Aquila Basso, Cunego & C, salvano almeno la faccia

L’Italbici dietro la lavagna espierà nei tapponi alpini

nostro inviato a Porto Recanati

Caro diario, gli ingegneri sono già al lavoro: quanto prima, i nuovi caschi per i big del Giro d'Italia saranno consegnati. La modifica non richiede grandi studi, basta una leggera evoluzione del modello classico: praticamente, sono previsti due buchi sopra, per farci uscire meglio le orecchie da somaro cresciute nel tappone farsa dell’Aquila.
Ma come, dirà qualcuno, stiamo qui a dare queste patenti a gente che subito dopo la figuraccia abruzzese s'inventa una riscossa in grande stile, andando all'attacco nel finale di una tappetta innocua, con l'epilogo iperpatriottico del campione d'Italia Pozzato a vincere la prima tappa italiana del Giro d'Italia, frantumando il maledetto sortilegio dei cinque secondi posti consecutivi nelle ultime cinque tappe? Ebbene sì, a maggior ragione devono infilarsi il nuovo casco per le orecchie da somari. Perché l'attacco di Porto Recanati, scatenato da Garzelli e subito assecondato da tutti i big italiani, più simpatia Vinokourov al seguito, è la chiara dimostrazione che se l'altro giorno avessero corso con la stessa rabbia, lo stesso orgoglio, la stessa dignità, insomma da campioni veri, oggi il Giro d'Italia non avrebbe questa classifica surreale e queste prospettive sinistre, con il giovane australiano Porte (Porte aperte agli stranieri), con gli spagnoli Arroyo e Sastre, con un sacco d'altra bella gente tutta così avanti, nell'incredibile condizione che qualcuno ci resti fino a Verona.
Basta guardare la nuda aritmetica: nella giornata mondiale delle ripicche per comari, con arrivo all'Aquila, i big perdono 13 minuti, nella giornata dell'orgoglio e della riscossa guadagnano 10 secondi.

Rimane una certa differenza. Rimane la colpissima di una dabbenaggine gigantesca. E ancora più gigantesca alla luce di quanto sta emergendo lungo la difficile strada di questo Giro massacrante: e cioè che i babau Evans e Vinokourov non sono poi così spaventosi. L'australiano è completamente privo di squadra, costantemente esposto ad attacchi e a imboscate, costretto a fare sempre da solo (non mi stupirei se dovesse anche scaricare le valigie in albergo e lavare la biancheria). Ovviamente questo suo stato di Co.Co.Co. dell'alta classifica lo sta rendendo nevrotico fino all'isteria: arrivando a Porto Recanati, rischia addirittura d'essere buttato fuori dalla giuria (si salva con 2000 franchi svizzeri di multa) prendendo a gomitate il povero Righi, colpevole di rompere i cambi in testa al gruppo per proteggere il capitano Cunego, in fuga coi migliori.
Poi c'è Vinokourov: anch'egli all'Aquila mortaccione e senza squadra, tanto da rinunciare vergognosamente a difendere la maglia rosa con un minimo di inseguimento (e pazienza se all'indomani trova miracolosamente le forze per tentare di fregare tutti e vincere la tappa).

Nel complesso, abbiamo (avremmo avuto) avversari battibili, comunque più battibili del previsto. Invece, con il capolavoro aquilano, ci ritroviamo lontanissimi dal rosa. Per fortuna, arriva una settimana di montagne spaventose. Già durissimo sin qui, il Giro diventa proibitivo: è l'unico, vero, attendibile reality della sofferenza umana, autentico campionato mondiale della fatica. C'è margine per qualunque follia. Dice Basso: «Ho un modo solo per farmi perdonare: dare spettacolo da qui alla fine. Ci proverò sempre». Dice Pozzato: «Gli italiani ci sono, e lo dimostreranno».

Caro diario, hanno un

enorme peccato da purgare, ma una seconda chance non va negata a nessuno. La penitenza si staglia lassù, sulle vette alpine che aspettano sadiche il loro arrivo. Vediamo se riescono a togliersi lo speciale casco per somari.

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