L’Italia degli ipocriti scandalizzati solo per un «vaffa»

Nei giorni scorsi, soprattutto l’altro ieri, non si potevano leggere i giornali. Nessuna notizia, se non il doppione predicatorio e moralistico del resoconto di quanto è accaduto alla Camera il 30 e il 31 marzo. Dopo i fatti, le (patetiche) opinioni. Tutti si sono esercitati nel prendere le distanze dal ludibrio e dalla mortificazione, senza precedenti (sic!), inflitta al parlamento. Perfino l'intelligente e acuto Michele Ainis (non dico il perduto Merlo), non ha saputo resistere. E inizia, in volgare, il suo fondo sul Corriere, con la frase «una roba così non era mai successa» («roba», scrive proprio «roba»). E prosegue «il Capo dello Stato che convoca i capigruppo al Quirinale, li mette in riga come scolaretti, gli chiede conto dei fatti e dei disfatti. D'altronde non era mai successo nemmeno il finimondo andato in scena negli ultimi due giorni: il Ministro della Difesa che manda a quel paese il Presidente della Camera, quella della Giustizia che giustizia la sua tessera scagliandola contro i banchi dell'Italia dei Valori…». Io non c'ero, e per impreviste circostanze in quei due giorni non ho letto i giornali e non ho visto la televisione. Dalle numerose persone che ho incontrato, mi è arrivata una flebile eco di questi «scandalosi avvenimenti». Ma quando poi, il primo aprile, ho ripreso a leggere i giornali, verso sera, dopo aver visto una luminosa Catania, non credevo alle orecchie della mia mente, nelle quali risuonavano gemiti e grida di indignazione di tutti i più autorevoli opinionisti.
Il destino mi ha fatto recuperare anche il Merlo di giornata (uscito il 31 marzo) con il consueto articolo contro Berlusconi, tema letterario, molto amato e molto frequentato dai cultori dell'ovvio, il quale senza accorgersene mina alle radici tutte le proteste sue e dei suoi affini. Il suo articolo sul «Cavalier Laqualunque» si conclude nei fatti con un «vaffanculo» pudicamente mascherato. Dopo le sue consuete metafore gattopardesche sulla Sicilia e sulle vane promesse di Berlusconi, novello Don Calogero Sedara («il sogno come variante del sonno»), chiude: «Deve essere per questo che i miei sciagurati paesani lo hanno applaudito invece di mandarlo… alla deriva nel suo cargo…». Voleva evidentemente dire «affanculo», come il suo sciagurato paesano La Russa aveva detto a Fini. Qual è la differenza? Il ruolo? La sede? Un illustre giornalista su Repubblica può «mandare affanculo» il presidente del Consiglio, e un Ministro, già fascista, amico del già fascista, quindi suo camerata, Fini, non può fare lo stesso col Presidente della Camera? La differenza sembra spiegata dallo stesso Fini, che respinge le scuse dell'ex-camerata, dicendo: «Non è stata un'offesa alla persona ma all'Istituzione». Il giorno dopo il pilotato pareggio (arbitro di parte lo stesso Fini), sul verbale relativo alla seduta del giorno prima, si confermerà la minacciosa considerazione di Fini. Dunque un «vaffa» può tanto? Ed è tanto raro? E può muovere Presidenti di Camera e della Repubblica, opinionisti, direttori di giornali, scrittori, in una così corale, unanime e concorde indignazione? Beh! Viene da sorridere. E perché nessun coro di proteste si levò contro l’osceno Di Pietro che sguaiatamente in Aula urlò «conigli» e altre contumelie all’indirizzo del presidente del consiglio e del ministro degli Esteri offeso al punto da andarsene dai banchi del governo. Non era forse anche in quel caso un deputato a offendere due istituzioni?
«Vaffa» è, ormai da anni, la fortunata esortazione di Beppe Grillo, comico-politico-comico, segretario-non segretario di un partito a cinque stelle, sorto dalle fondamenta di molti «vaffa». Esiste quindi un «partito del vaffa», riconosciuto in amministrazioni regionali e comunali. Esistono simpatizzanti di quel partito, i quali, normalmente, come la maggioranza degli italiani, pensano, dicono o mandano affanculo qualcuno. Il 1° maggio 2008 io ero ospite a una puntata di Santoro che mandò, in prima serata davanti a milioni di spettatori, una serie di «vaffa» di Beppe Grillo contro numerose istituzioni. Nessuno si scandalizzò, non fu punito; io che mi ribellai a quella esibizione davanti al ghigno compiaciuto di Travaglio, fui querelato e mai più invitato.
Dov'è dunque lo scandalo odierno per una formula di così frequente e, anche televisivo, uso? Nel luogo? Nell'invito, forse poco cortese, al Presidente della Camera? Inoltre, in una seguitissima trasmissione Rai è stato formalmente consentito, e addirittura organizzato con contributi registrati, come documento politico di costume, quello che oggi determina indignazione alla Camera dei Deputati. È legittimo insultare in televisione il Presidente della Repubblica e il Senatore Umberto Veronesi, definito «cancronesi»? Tutto bene? Tutto male? O niente di più e niente di meno di quello che si sente nelle strade, nelle piazze, nei gruppi organizzati contro il Presidente del Consiglio, e si legge nei libri dei principali e ammirati romanzieri, fin dalla metà del '900, da Celine, a Miller, a Pasolini, a Moravia, a Busi, che al tema ha dedicato il titolo del suo libro: «Ci vogliono i coglioni per prenderlo nel culo» (edizioni Mondadori). E allora per cosa si turbano (a corrente alterna) e di cosa si preoccupano le anime belle? E cosa è più osceno della ipocrisia e della indignazione retorica? Ma siccome la questione è lessicale, vorrei rispondere con un riferimento pertinente e linguisticamente inquietante. Dobbiamo rispettare la lingua, e come insegna il Manzoni, la lingua letteraria si forma sulla lingua dell'uso. Vi sono inoltre termini tecnici che si generano in certi ambienti. Dunque, nel mondo della politica, e con preciso riferimento alle elezioni, terminologia corrente e persino «ufficiale», senza alcuno scandalo, è «trombare». A ogni elezione c'è l'elenco dei «trombati eccellenti».
La parola, participio passato del verbo trombare, l'ho sentita io stesso pronunciare da Andreotti, da Napolitano, da de Mita, da Craxi, da Pannella, da Cirino Pomicino, da Di Pietro, da Bertinotti, da Bersani, da Bossi, da Casini, da Fini, da La Russa e da moltissimi altri. Forse mai da Berlusconi. Si dirà perché è più abituato a trombare che a essere trombato. Io stesso fui indicato fra i «trombati» da Gian Antonio Stella dopo aver perso le elezioni nel collegio uninominale di Pordenone-Sacile contro il leghista (extracomunitario: era svizzero!), Edoardo Ballaman. C’è poco da fare: il verbo è quello, e, nella sostanza e nel concetto, è assai affine al deprecato «vaffanculo». Un participio contro un vocativo. Ma qui si aprono numerose varianti. Chi è eletto, o eletta, non è «trombato» o «trombata». Quindi si evidenziano contraddizioni o nuovi costumi, perché è evidente che, nell'ambito elettorale, la Nicole Minetti non è stata «trombata», ed è dunque stata eletta. Eletta, non «trombata». Lo stesso si può dire, con perfetta evidenza, di Rosi Bindi: eletta e mai «trombata». Di questo la stessa Bindi è perfettamente consapevole. È, in prospettiva delle sue certe elezioni future, «mai trombabile». Il che non vuol dire «non trombabile». Ma è ragionevole aspettativa ritenere che questo non avvenga. Eletta e «non trombata» è anche Barbara Matera, e non si può dire che questo possa essere ritenuto offensivo. Dunque, perché non ci si preoccupa di tanti trombati definiti tali da illustri politici e colleghi, e ci si scandalizza per il «vaffa» di la Russa? Oggi manda a fare in culo, domani potrebbe essere trombato. Così va il mondo, e così la politica si manifesta senza turbamenti e scandali. Fino ad oggi almeno, quando il gentile Michele Ainis ci informa, forse esagerando, che «una roba così non era mai successa».

Si vede che era distratto quando alla Camera apparve un cappio, a manifestare tutta la passione per l'attività della magistratura, la quale non manda a fare in culo, ma spesso, troppo spesso, senza che ci si scandalizzi, incrimina o arresta, o semplicemente sputtana innocenti. Che talvolta si suicidano. Come è capitato qualche girono fa al viceprefetto Salvatore Saporito. Una notizia che non ha destato scandalo come il «vaffanculo» di La Russa, ma era ed è, caro Ainis, molto più scandalosa.

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