L’Italia esporta campioni ma non sa vendere lo sport

Italia, c’è un problema. Sembra lo dica Andrea Agnelli quando parla di Juve. Ma stavolta l’espressione è solo rubata, tanto per semplificare. Si parla di Italia e di internazionalizzazione del suo sport e dei suoi campioni. C’è qualcosa che tiene il nostro sport in recinti stretti: non esporta e non viene esportato. Peggio: gli eventi in ambito nazionale non producono valori sufficienti per aziende medie e medio grandi. Non è un problema dappoco, è l’essenza del problema. Insomma l’Italia non basta più. Ne hanno parlato esperti di sport all’inaugurazione dell’anno accademico della Sport Business Academy, gestita da Sda Bocconi e Rcs Sport.
Non a caso il Giro d’Italia, che soffre l’eterna subalternità al Tour de France, rincorre l’interesse straniero, evade dai confini, si butta nel mondo web. Ha la forza di un indotto di 100 milioni di euro nelle tre settimane di vita. Ma non basta. Quanti sono i nostri campioni senza confine. Dai tempi di Bartali e Coppi non tanti: Tomba, Valentino Rossi, Pablito Rossi e Roberto Baggio, Benvenuti e Carnera, non ce l’ha fatta Pantani. Oggi ci provano la Schiavone nel tennis e la Pellegrini nel nuoto.
L’Italia è un paese che deve cercare l’opportunità, sfruttare i valori. Un esempio: il calcio ha un fatturato quattro volte più piccolo del quarto sport americano: l’hockey. Però, all’estero, la Premier League fa lezione: si vede e si vende ovunque nel mondo. Non così la serie A. Il Barcellona ha 170 milioni di tifosi, il 50% dei 60 milioni di pagine del suo sito tradotte in lingue estere. “Barça Tv” è diffusa in 158 paesi. Numeri da sogno per i nostri grandi club. Oggi la Juve sta approntando lo stadio da 41mila posti e 34mila metri quadri di area commerciale: sarà inaugurato a fine agosto (Jean Claude Blanc, che cura il progetto, spera il 28 agosto, magari alla seconda di campionato, quando Torino si sarà ripopolata), ma per il nostro Paese è l’eccezione. Altrove sarebbe regola.
Le statistiche dicono che l’interesse tifoso mette al primo posto calcio, seguito da formula 1, basket Nba e eurobasket, moto, tennis, volley, Tour de France e Sei nazioni di rugby. Ettore Messina, ex tecnico del Real Madrid di basket, all’estero ha provato le diversità. «Parli di progetto e riesci a portarlo fino in fondo: dovremmo imparare». Francesco Ricci Bitti, membro Cio e presidente del tennis internazionale, ha riepilogato in due parole il passo da lumaca nel nostro tennis: «Nel 1988 il mondo godeva di 18 milioni di praticanti, nel 2008 siamo arrivati a 90 milioni, cinque volte di più. Ma in Italia siamo rimasti fermi ai numeri di 20 anni prima».
Diana Bianchedi, ex schermitrice e vicepresidente Coni, ha ricordato che da qui al 2013 l’Italia dello sport organizzerà 13 campionati del mondo: dallo sci al volley femminile.

Prova generale per meritarsi i giochi di Roma 2020 e rilanciare l’internazionalizzazione italiana che oggi ha solo due vessilli olimpici: alcune aziende fornitrici ufficiali dei Giochi e l’azienda che gestisce i volontari. Colossi per il mondo olimpico che avvalorano l’accusa all’Italia: esporta talenti più che modelli.

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