L’Italia frena ancora, ma i consumi risalgono

Il secondo trimestre 2009 potrebbe aver davvero segnato il momento di passaggio dalla picchiata recessiva al periodo della stabilizzazione che precede la ripresa vera e propria. Sarà un recupero lento, non privo di ostacoli e con l’handicap della disoccupazione, come da qualche tempo sostengono tutti: dal Fondo monetario internazionale al presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia; dall’Ocse fino alla Bce, che nel Bollettino mensile diffuso ieri ha ribadito la cautela espressa la scorsa settimana da Jean-Claude Trichet su tempi e natura della recovery. «Si è fermata la caduta - ha detto ieri il premier, Silvio Berlusconi - . Siamo in un momento che non ha ancora dato la ripresa, ma contiamo su tutti i governi di dare un forte impulso a questa ripresa affinché non sia una ripresa lenta».
Le parole del presidente del Consiglio sono giunte in concomitanza con i dati definitivi diffusi dall’Istat sul secondo trimestre, periodo in cui il Pil italiano si è contratto dello 0,5% dopo il -2,7% accusato nel primo quarto dell’anno. Su base annua la diminuzione è del 6%, invariata rispetto a gennaio-marzo, mentre è pari al 5,1% qualora nei prossimi due trimestri la variazione fosse nulla. L’andamento, inutile nasconderlo, è il peggiore dal 1980 e colloca la penisola sotto la media europea sia congiunturale (-0,1%), sia tendenziale (-4,7%). Ma il dato contiene anche un elemento positivo come la crescita dei consumi (+0,3%), anche se l’incremento è legato soprattutto agli incentivi per la rottamazione dell’auto. A sorpresa, infatti, la spesa pubblica è aumentata dell’1,3%. Non succedeva da anni.
L’attesa si sposta ora sullo stato di salute dell’economia nel terzo trimestre, dal quale potrebbero emergere elementi di stabilizzazione tali da riportare il calo congiunturale più vicino alle proiezioni governative e dell’Ocse (-5,2%), se non addirittura a quelle di Moody’s (-4,4%). Molto dipenderà da un consolidamento dei consumi delle famiglie e, soprattutto, da un miglioramento dell’export, ancora sofferente a fine giugno per la caduta della domanda mondiale.
Per la ripresa bisognerà tuttavia aspettare l’anno prossimo. Le stime più recenti non vanno comunque oltre lo 0,8% della Confindustria, segno di una dinamica ancora tiepida. La stessa Bce parla di una ripresa che «dovrebbe risultare non uniforme, data la natura temporanea di alcuni fattori favorevoli, e alquanto fiacca, considerata la debolezza dell’attività mondiale e l’alto grado di incertezza». Se nel 2009 la contrazione del Pil della euro zona dovrebbe essere compresa tra il 4,4 e il 3,8%, nel 2010 la forbice andrà da un -0,5 a un +0,9%. L’Eurotower non sembra peraltro confidare molto in un aumento dei consumi: nonostante l’inflazione bassa, il tasso crescente di disoccupazione (9,5% in luglio) condizionerà le abitudini di spesa. Sarà invece il recupero delle esportazioni, grazie a una domanda estera più forte del previsto, a sorreggere l’economia. Proprio in ragione di una ripresa a scartamento ridotto, la posizione sull’exit strategy rimane ferma: non è ancora il momento di rimuovere le misure di stimolo, ha ribadito ieri Axel Weber, membro tedesco del board Bce.
Diversa la posizione degli Usa.

Secondo la Casa Bianca, grazie agli aiuti federali sono stati creati un milione e 100mila posti (ma i senza lavoro restano un serio problema) e la crescita economica sarà del 3% nell’ultimo trimestre. «Entrando in questa nuova fase - ha detto il segretario al Tesoro, Tim Geithner - dobbiamo ridurre alcune delle misure straordinarie adottate per sostenere il sistema finanziario».

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