L’Italia torna al nucleare: il ddl Sviluppo è legge Scajola: «Sarà un affare»

Roma«Abbiamo avuto disponibilità a livello locale, da vari enti, ad accogliere centrali nucleari. C’è una maturazione rispetto a posizioni precedenti». In Italia c’è una nuova consapevolezza riguardo al tema energetico e il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, ha voluto rendere noto l’orientamento più maturo espresso da alcune amministrazioni.
E lo ha fatto nel giorno in cui il ddl sviluppo è legge. Ieri, infatti, il Senato ha definitivamente approvato il provvedimento che consente il ritorno dell’Italia all’utilizzo dell’energia nucleare con 154 voti a favore (Udc compresa), un solo voto contrario e un solo astenuto.
L’iter della legge che contiene anche norme a favore dell’internazionalizzazione delle imprese e della tutela dei consumatori è stato lungo. Come ha ricordato Scajola: «10 mesi, 60 sedute in commissione, 60 sedute in aula tra Camera e Senato e 2.800 emendamenti presentati». Un lavoro per il quale sono stati ringraziati i presidenti della commissione Industria dei due rami del Parlamento Gibelli e Cursi e i relatori Raisi e Paravia.
Diventano legge anche l’introduzione della class action («diversa da quella del governo Prodi»), lo snellimento delle procedure per i rigassificatori, la riforma degli incentivi alle imprese e delle Camere di commercio e l’inasprimento della lotta alla contraffazione. Ma i riflettori sono tutti puntati sul nucleare. Dove saranno installate le centrali? Quando partiranno? Sarà utilizzata la forza pubblica in caso di resistenza delle popolazioni?
Scajola ha voluto entrare nei dettagli senza però scoprire troppo le carte. «Da otto mesi si è insediata una commissione di esperti che sta lavorando alla parte attuativa», ha spiegato ricordando che la legge istituisce pure l’Agenzia nazionale per la sicurezza nucleare. L’obiettivo è «la posa della prima pietra entro la fine della legislatura». L’accordo siglato a tale scopo tra Enel e Edf prevede la realizzazione di quattro impianti; entro il 2020 almeno uno sarà in funzione. Per questo l’ad Fulvio Conti ha parlato di «scelta storica» considerato che Enel gestisce 11 impianti all’estero.
In molti Paesi, a partire dagli Usa, l’atomo non è più un tabù. «Non credo che il popolo italiano sia fatto di persone più fesse di quelle del resto del mondo», ha aggiunto Scajola. Precisando che «individueremo i territori che hanno le caratteristiche ideali: deciderà il mercato».
Sull’ubicazione, tuttavia, nessun dettaglio in più anche per non scatenare proteste demagogiche. Si possono fare solo ipotesi: l’Italia prima dello stop disponeva di 4 centrali (Trino, Caorso, Latina e Garigliano). Quei siti sarebbero ideali perché hanno le caratteristiche adatte: sono vicine a bacini idrici (fiumi e mari), sono in zone a basso rischio sismico e sono interconnesse alla rete elettrica ad altissima tensione. Ma il nucleare alla vigilia delle amministrative 2010 con la sinistra del «no» che governa quasi tutte le Regioni potrebbe essere un’arma a doppio taglio.
In ogni caso, ha concluso Scajola, «i siti delle centrali sono di interesse e sicurezza nazionale e in caso di non condivisione la Costituzione prevede il potere sostitutivo del governo (l’impiego dell’esercito, ndr)».

Ma sarebbe l’extrema ratio perché il nucleare sarà «un affare per l’Italia e un affare ancor più grosso per i territori».
Una notazione, infine, per la banda larga. «Nel prossimo Cipe ci sarà la definizione dei finanziamenti», ha annunciato Scajola riferendosi al piano da 1,5 miliardi del viceministro Paolo Romani.

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