Questanno il megaconvegno dellOnu sul clima si è svolto a Montreal. Rispetto agli appuntamenti precedenti, lXI Conferenza delle Parti ha presentato due novità: da un lato il protocollo di Kyoto è entrato formalmente in vigore, e quindi i suoi termini sono vincolanti per i Paesi che lhanno ratificato; dallaltro la scadenza del 2012 si fa più vicina e il probabile insuccesso del trattato costringe a spingere lo sguardo oltre.
Secondo le proiezioni dellAgenzia europea dellAmbiente, lEuropa (che di Kyoto è il più strenuo sostenitore) mancherà lobiettivo di un buon 7%. Può sembrare poco, ma se si pensa che limpegno del vecchio continente era quello di ridurre le sue emissioni dell8% sotto dei livelli del 1990, le dimensioni del fallimento non potrebbero essere più chiare. In verità, lAgenzia suggerisce che si può arrivare molto più vicini al target in presenza di non meglio precisate misure addizionali.
È chiaro che essa esclude un razionamento dei consumi di energia (insostenibile economicamente, oltre che improponibile sul piano politico) e che essa semmai rinvia a meccanismi offerti dal protocollo di Kyoto: lacquisto di «quote di emissione» o le forme di cooperazione con altri Paesi sviluppati o Paesi in via di sviluppo. Sotto questo profilo lItalia si è mossa bene, grazie all'azione del direttore del ministero dellAmbiente, Corrado Clini, che ha portato a casa interessanti accordi con Cina e India. Ma si tratta solo di palliativi, necessari ad ammortizzare gli impatti che potrebbero derivare dallattuazione del protocollo.
Quello che non tutti comprendono è che la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra è gravida di conseguenze. L'economia globale è fortemente dipendente dalla combustione di idrocarburi, che rilascia gas sospettati di acuire «artificialmente» un fenomeno naturale, cioè il riscaldamento globale. Ridurre le emissioni significa ridurre i consumi di energia, cioè aumentare il prezzo. Una mossa insostenibile in un momento difficile come lattuale. Del resto, non mancano le valutazioni sugli effetti di Kyoto.
I modelli macroeconomici stimano che lEuropa perderà, al 2010, tra lo 0,5 e il 2% del suo prodotto interno lordo se vorrà davvero raggiungere tali obiettivi. Secondo uno studio allItalia lo sforzo costerà almeno 2 punti di Pil e distruggerà centinaia di migliaia di posti di lavoro. Se stessimo crescendo a ritmo sostenuto, forse potremmo prendere in considerazione lidea di rallentare, per guadagnarci in termini ambientali, ma ora siamo sullorlo del baratro. Di energia lItalia ha un bisogno crescente.
Pochi giorni fa, secondo i dati di Terna, si è raggiunto un nuovo record storico nei consumi elettrici, toccando la soglia dei 54.200 megawatt ora. A tale risultato si è giunti a causa dellondata del freddo e della scarsa luminosità, ma questo è solo un segno di come sia difficile frenare i consumi. Daltro canto, non bisogna dimenticare che, prima di impiccarsi con le regole di Kyoto, vale la pena guardare anche ai suoi potenziali benefici. Ebbene, i sacrifici europei non ne produrrebbero alcuno. La riduzione delle emissioni a livello globale sarebbe infima, specie alla luce della crescita di economie inquinanti come quella indiana e cinese.
Inoltre le attuali conoscenze scientifiche non ci consentono di dire con precisione se e quanto luomo sia responsabile del riscaldamento. Se emergesse che esso dipende largamente da cause naturali, come le variazioni nel ciclo solare, ci troveremmo a spendere risorse enormi per nulla. Naturalmente, possono esserci strategie alternative che siano compatibili con lobiettivo dello sviluppo. Lamministrazione americana, incassando il sostegno del premier inglese Tony Blair, spinge da tempo per concentrarsi sullinnovazione tecnologica e la rimozione delle barriere alla crescita. In questo senso, può giocare un ruolo importante la tecnologia nucleare. Perché tale sentiero sia fruttuoso, però, è essenziale capire che bisogna abbandonare i pregiudizi tecnofobici.
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