Mai come guardando oggi la Siria siamo stati chiamati a contemplare la nostra debolezza di fronte ai dittatori, a misurare la menzogna della Realpolitik. È il caso di citare, ebbene sì, George Bush, quando l'orrore della dittatura esclama che alla fine con i prepotenti non c'è dialogo possibile. Bush nel 2005, dopo l'assassinio di Rafik Hariri in Libano, ruppe tutte le relazioni con la Siria; intanto il Dipartimento di Stato intraprese il finanziamento dei dissidenti laici e dei loro progetti, inclusa una tv satellitare anti Assad. Ma poi è arrivata la grande presa in giro: perché Assad, come dice Fuad Ajami, ha giocato contemporaneamente al piromane e al pompiere. Ma a noi occidentali, agli USA che gli ha rispedito l'ambasciatore, all'UE che lo ha chiamato alla pace con Israele, all'ONU che lo vuol mettere nel Consiglio dei Diritti Umani, è sempre piaciuto guardare soltanto il pompiere. Solo in queste ore l'America comincia a parlare di sanzioni ad personam (poca roba), e Susan Rice fornisce uno spunto di grande momento: gli Stati Uniti sono sicuri che fra gli uomini della sicurezza che uccidono i civili siriani ci sono anche forze iraniane. L'Italia, la Francia, l'Inghilterra, la Germania e la Spagna hanno convocato gli ambasciatori siriani e l'UE per domani ha in programma una riunione per stabilire misure di punizione. La cosa più interessante sarà la riunione del Consiglio per i Diritti Umani che su richiesta di Ban Ki Moon dovrebbe a sua volta condannare la Siria. E invece in questo momento la Siria ancora è in lizza, senza che Ban Ki Moon, richiesto, abbia voluto pronunciarsi su questo orrore, per entrarne a far parte al posto della Libia. E poiché è uno dei quattro Paesi asiatici che ne hanno il diritto, se non ci sarà un veto politico la cosa è destinata a accadere proprio mentre i siriani cadono falciati dal loro regime.
L'ONU dovrebbe cercare di salvare i siriani in base allo stesso principio della "responsabilità di proteggere" che sta alla base della risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza che ha permesso la guerra a Gheddafi. Ma Robert Gates, ministro della Difesa americano insieme al suo collega inglese Liam Fox ha detto che la questione siriana è ben diversa da quella libica, e che anche se la comunità internazionale ha risposto con la forza militare a Gheddafi, non farà certo altrettanto con Assad. Un atteggiamento del genere rivela la flebilità, il disseccamento onusiano del nostro concetto di difesa della vita umana, di supporto dei diritti e della democrazia, lo stesso che abbiamo visto in Sudan o in Tibet, e spiega quanto ogni nostra risoluzione sia dovuta a motivi politici. Gheddafi è un dittatore bizzarro, la sua ferocia è indubitabile quanto i suoi non moltissimi e tuttavia utili barili di petrolio, il suo valore strategico è misero, non è un pernio di equilibri, fargli la guerra non offende nessuno al di fuori di lui. E inoltre, davvero si è smesso a sparare come un pazzo contro la sua gente e andava fermato.
La Siria è tutta un'altra storia. È il cuore del potere iraniano in Medio Oriente, il centro di movimenti terroristici micidiali, è la madre degli hezbollah, il padre di Hamas, confina con Israele cui farebbe volentieri la pelle, con l'Iraq, dove ha spedito terroristi antiamericani, con la Giordania, con cui ha rapporti difficili, di fatto seguita a occupare il Libano anche se l'ha lasciato, ha un lunghissimo confine con la Turchia che infatti è preoccupata e si rifiuta di condannare Assad. Bashar sa benissimo che la Siria sunnita, dove gli alawiti sono una piccola minoranza sciita, conserva vivissima la memoria della strage dell'83, ventimila Fratelli Musulmani sterminati a Hama da suo padre Hafez; sa che o riusciva all'inizio a placare le acque, oppure solo i carri armati possono spianare un'opposizione che aspetta la rivincita. E così andrà avanti fino a che tutto sarà una macchia di sangue. È un'ipotesi spaventosa, ma la Siria è in ogni caso una bomba a tempo. La paura del mondo che la Siria vada in pezzi è ben maggiore della preoccupazione per la Libia di domani, e per questo si guarda e si aspetta lasciando che la gente muoia.
Per questo guardando Bashar Assad abbiamo preferito colpevolmente, in questi anni, vedere un lungagnone vestito di stoffa inglese, quasi un bravo ragazzo con la moglie affabile, che invece è un macellaio delinquente che ha già fatto ammazzare, oltretutto in gran parte da suo fratello Maher capo delle guardie presidenziali, 453 fra i suoi concittadini. È tempo che stabiliamo infine quanto vale la religione occidentale dei diritti umani, ma prima degli spari, sin dall'inizio quando ancora possiamo farla valere.
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