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L’Olanda chiude le porte a romeni e bulgari

SCHENGEN L’accordo prevede che gli Stati membri possano ricorrere a restrizioni

L’Olanda chiude le porte a romeni e bulgari

AmsterdamL’Olanda chiude le frontiere a romeni e bulgari. Il governo dell’Aja ha deciso di difendersi dalla crisi economica tutelando il suo territorio. Nell’unico modo possibile, chiudendo gli ingressi agli stranieri. Dal primo gennaio 2009 l’Olanda aveva stabilito di liberalizzare il proprio mercato del lavoro ai cittadini di Sofia e Bucarest. Ma non sarà così. Ha posto un freno all’immigrazione. Il Paese nel primo trimestre del 2008 ha visto entrare ben 32mila stranieri. Seimila in più rispetto all’anno scorso nello stesso periodo.
Il responsabile agli Affari sociali Piet Hein Donner, che fu ministro della Giustizia dal 2002 al 2006, del Cda (Partito Cristiano democratico), ha fatto marcia indietro sulla decisione di apertura delle frontiere a chi non ha un regolare permesso di lavoro. Se ne riparlerà più avanti. La decisione non è in linea con gli accordi di Schengen, sulla libera circolazione dei lavoratori europei. Il trattato prevede solo poche deroghe che permettono agli Stati membri di ricorrere a certe restrizioni per i primi due anni, con un rinnovo di altri due anni in seguito.
È il paradosso tutto olandese: i Paesi Bassi furono i primi ad aderire agli accordi nel 1985. Il testo del trattato prevede l’abolizione dei controlli sistematici delle persone all’interno di quello che fu definito lo «spazio Schengen», sta a dire l’insieme dei territori dove il trattato stesso è applicato. Attualmente ne fanno parte 28 Stati, sia dell’Unione europea sia Stati terzi (Islanda, Norvegia, Svizzera). Ne sono rimasti fuori il Regno Unito e l’Irlanda. All’inizio gli accordi di Schengen furono stipulati al di fuori della normativa Ue. In seguito furono integrati dal Trattato dell’Unione europea (meglio conosciuto come trattato di Maastricht).
Come mai l’Olanda, da sempre considerato il Paese multiculturale per eccellenza, sta facendo marcia indietro? La stessa regina Beatrice, lo scorso settembre, nel suo discorso di apertura dell’anno economico, aveva sottolineato il suo orgoglio di appartenere a una nazione ospitale nei confronti dei popoli di tutto il mondo. Basta considerare che nei Paesi Bassi ci sono 45mila polacchi della prima generazione; da quando sono entrati nell’Ue (nel 2004) c’è stato un afflusso continuo. Soltanto durante i primi tre mesi di quest’anno ne sono arrivati 3.500. Ma nel frattempo, anche per colpa della crisi economica, mancano i posti di lavoro per i cittadini olandesi, che guardano spaventati a Paesi come l’Islanda, sull’orlo del collasso. E alla loro capitale, Amsterdam, che conta 177 nazionalità nel suo territorio, battendo persino New York con le sue 150. Poi c’è l’incremento della criminalità straniera proveniente proprio dai Paesi dell’Est. E allora che cosa resta da fare? Chiudere i battenti: «Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori», tanto per usare una vecchia cantilena infantile di quando si giocava a nascondino. Per capire che cosa stia succedendo nel Paese della tolleranza bisogna conoscerne a fondo la mentalità; gli olandesi diventano molto severi quando le leggi non sono rispettate. È accaduto nei confronti dei Coffee shop, che sono stati chiusi nel momento in cui hanno trasgredito le regole. Tuttavia il sindaco di Eindhoven, cittadina nel Sud dell’Olanda, Rob van Gijzel, ha proposto che siano i Comuni a gestire il commercio della droga leggera, in modo da poterlo tenere sotto controllo.
Non si tratta quindi di proibire, ma di regolare. Stesso discorso nei confronti delle prostitute in vetrina. Nel momento in cui si è infiltrata la criminalità organizzata sono stati chiusi molti locali a luci rosse.

In poche parole, gli olandesi vogliono correre ai ripari prima che il danno diventi irreparabile: non dopo.

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