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L’ombra Kosovo condiziona il voto in Serbia

da Belgrado

Il confronto tra gli Usa e parte dell’Europa occidentale, da un lato, e la Russia e i Paesi europei ortodossi, dall’altro, si ripropone oggi in Serbia, dove si tengono le elezioni presidenziali. In primo piano, ma anche sullo sfondo delle altre questioni (a cominciare dalla cattiva situazione economica) il Kosovo, la provincia serba popolata prevalentemente da albanesi musulmani e alla quale Washington vuole concedere l’indipendenza recidendo gli antichi legami con Belgrado.
Alle urne sono chiamati 6,7 milioni di persone, che possono scegliere tra nove candidati, ma di questi solo due, stando alle previsioni, emergeranno: il presidente uscente, il liberale Boris Tadic, e l’ultranazionalista Tomislav Nicolic, del Partito radicale serbo (Srs) di Vojislav Seselj, incarcerato all’Aia per crimini di guerra. I due si sfidarono già nel 2004 e il duello si risolse al ballottaggio. Anche ora, quasi certamente, si andrà al secondo turno, il 3 febbraio.
I sondaggi vedono Nicolic, 21%, avvantaggiato su Tadic, 19%. Molto distanziati gli altri concorrenti. Il 3 febbraio, però, il risultato dovrebbe ribaltarsi. Proprio come quattro anni fa.

I serbi non vogliono perdere il Kosovo, ma non si fidano dell’estremismo anti-occidentale di Tadic.

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