Giusto l'altro ieri. Ivano Damiani Paganetto era stato appena «visitato» da una psichiatra del Servizio di salute mentale dell'Asl 3. Il «camice bianco» era andata lassù in via Ungaretti come tante altre volte. E come le altre volte aveva trovato quel «marcantonio» abbastanza tranquillo nonostante la sua «psicosi grave di tipo schizofrenico» e il suo inserimento nel centro diurno per il trattamento riabilitativo intensivo di Sestri Ponente. L'intervento della dottoressa era avvenuto in presenza della madre. A quanto risulterebbe dai rapporti medici, durante la visita non si sarebbe riscontrato alcun segnale o sintomo di allarme e non sarebbe emerso niente di sospetto. Secondo i sanitari l'omicida non era in una fase di instabilità clinica. «La stabilità - ha riferito il direttore del dipartimento Luigi Ferrannini - si determina quando non ci sono interventi di urgenza o ricoveri ospedalieri». Tuttavia ieri il vicequestore Alessandra Bucci ha confermato che lo schizofrenico da tempo non assumeva quegli psicofarmaci che forse sarebbero serviti a reprimere la furia omicida. Dalla sfera della psicopatologia a quella della sociologia. «Sentivamo abbastanza spesso delle grida, Luciano lo sgridava»: così i vicini ricordano numerosi e agitati contrasti tra lomicida e la sua vittima. «Spesso Luciano rimproverava Ivano - spiega Giulio Rocca, che vive al piano sopra la casa della tragedia -. Gli diceva di uscire di casa, di muoversi». Da quanto emerge dalle voci raccolte nel palazzo, il patrigno dellomicida esortava il figliastro ad uscire, ad andare a fare movimento.
Finiva invece spesso che Ivano, una volta fuori dalla porta di casa rimanesse seduto a lungo su una panca accanto alluscio. Spesso veniva accolto in casa da una vicina di pianerottolo, una giovane che stamani ha chiamato anche lei la polizia gridando: «Venite presto perché qui cè molto sangue».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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