L’omicidio di Giovanni Gentile fu un «atto di guerra» e non un semplice delitto. Per questo motivo, sostiene la Corte d’Appello di Firenze nella sentenza emessa l’altroieri, è da condannare l’espressione usata dal senatore del Pdl Achille Totaro e dal consigliere comunale Stefano Alessandri, che avevano definito «assassino vigliacco» Stefano Fanciullacci, il partigiano che nel 1944 uccise il filosofo del Duce. La famiglia di Fanciullacci, nel 2000, si era costituita parte civile in primo grado, dove l’esponente Pdl fu assolto. Ora il giudice ha dato ragione ai parenti del partigiano, ma Totaro e Alessandri hanno già annunciato di ricorrere in Cassazione, anche se la condanna consiste solo nella pubblicazione a pagamento su due quotidiani della sentenza, e nel risarcimento simbolico di un euro agli eredi di Fanciullacci.
Ma la sentenza ha riaperto la questione tra gli storici, sul significato politico dell’assassinio di Gentile. «Non fu un atto di guerra - ha spiegato lo storico Sergio Romano intervistato dal Corriere della sera -, ma un attentato di guerra civile. Definire il partigiano che uccise Gentile un “assassino vigliacco” è sbagliato, tuttavia politicamente è comprensibile». Gentile venne ucciso il 15 aprile 1944 sulla soglia della sua casa di Firenze, da un gruppo partigiano fiorentino aderente ai Gap.
La sentenza ha avuto anche reazioni politiche. «Il sangue dei vinti scorre ancora.
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