L’onore di raccontare la vita e le opinioni di Gaber (e del suo doppio)

Caro Giordano,
è emblematico che a scrivere gli articoli più belli sul signor G sia il Giornale, proprio in contrapposizione alla vulgata del Gaber uomo di sinistra. La definizione ultima era «anarchico». Sì perché quando uno di sinistra cambia idea o si risveglia dal sonno utopico, da non confondere con il sonno ipnotico, vero compagni?, è usanza definirlo «anarchico». Giorgio era libero da ogni etichetta, libero come il volo di un gabbiano.
Bellissimo il testo inedito che ricorda il canto «La Comune». Il buffo è che a questi spettacoli, ferocemente anti-sinistra, i compagni si spellavano le mani nell’applauso liberatore, e non si accorgevano che li stava facendo a pezzettini, li ridicolizzava. Non hanno capito niente e continuano. Si vedano i penosi tentativi di ricordare e celebrare Giorgio Gaber, il mio alter ego in forma poetica: abbiamo respirato la stessa aria, camminato le stesse vie, studiato sugli stessi libri, corteggiato le stesse ragazze, poi ognuno ha preso la sua strada, ma l’air du temps è rimasta.
L’attualità di Gaber è tutta nel sapere ancora oggi generare confusione nella testa della sinistra, oggi come negli anni di piombo. Ci siamo fatti delle grandi ghignate a vedere i nostri amici vestiti da guerriglieri e quel fascino da studiosi che per essere a loro agio hanno bisogno di una parte: tragici anni Settanta.
Giorgio ha messo da parte «Non arrossire» e si è confrontato con la vita di tutti i giorni, costellata di ammazzamenti, di foto di famiglia, di eurocomunismo imbottito di rubli portati dagli spalloni della segreteria delle Botteghe, sempre oscure. Il risultato: uno splendido percorso poetico-esistenziale, di cui molto dobbiamo al grande Luporini. E Giorgio ci inchiodava alla sedia del Lirico, nella nostra amata Milano, con la sua magia artistica.
L’acqua che passa, l’acqua che scorre, ma il mio signor G non passa mai.
Grazie Giorgio.
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È stato un piacere raccontare Gaber, leggere i suoi testi inediti, sentirlo ancora vivo. Il signor G si è divertito a sbrindellare la polemica destra-sinistra. Non è il caso di tradirlo. Gaber era Gaber. Aveva le sue idee, qualcuna magari neppure la condivideva. Il Giornale non ha paura di incontrare personaggi come lui. Non chiede la carta d’identità a nessuno. Non ha paura di confrontarsi con chi ha idee diverse. Non ha paura del dialogo. Ci piace il signor G. e questa è la cosa più importante. Ci piace il suo gusto per il paradosso. Ci piace quel modo leggero di non prendersi sul serio. Ci piace anche quando si volta indietro e non si lascia ingannare dalla nostalgia. Ci piace il signor G. quando guarda in faccia la modernità e sente che lo stanno ingannando, quando ride alla parata dei soliti conformisti, quelli con le idee confezionate e vendute a rate, quelli che pensano di stare sempre dalla parte dei santi, i moralisti senza morale, i predicatori della domenica. Ci piace il signor G. quando si fa la doccia e riflette sulla metamorfosi dello shampoo. In questo giornale c’è sempre spazio per quelli come lui, anche quando non la pensano come noi.

È sempre un onore incontrare i grandi.

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