L’Onu dei cuochi che si cucina i primi della Terra

Bush ha trentatré cuochi a disposizione per farsi preparare un panino, Putin fa spiare i piatti dall’ex Kgb poi si butta solo sui gelati

Il più indigesto è Bush. Ha trentatré cuochi a disposizione solo per farsi preparare un cheeseburger del cavolo. Il più diffidente è Putin. Ha messo un ex Kgb a sorvegliare ogni piatto e non ne assaggia neanche uno. Pare gli sia sfuggita solo una minestrina alla diossina finita sul tavolo del leader ucraino Yushenko e guarda te che razza di sfoghi in faccia gli sono venuti. Il più stufato invece è il leader cinese Jiang Zemin. Ogni viaggio si porta dietro un cuoco personale: non è mai lo stesso, non gli va mai bene niente.
Per tenere a bada gli appetiti dei potenti ogni volta si fanno un fegato così. Sono la crema degli chef, i cuochi di re, regine, premier e capi di Stato, hanno in mano i destini del mondo. Ma lavorano per gente senza cuore. L’ultima arrivata è Cristeta Comerford, la Condoleezza Rice dei fornelli, una donna che piace alle donne. Alla Casa Bianca l’ha voluta Hillary Clinton, alla guida della cucina l’ha pretesa Laura Bush. Aveva un solo avversario, Chris Wardte, lui l’ha messa subito sul personale: sono texano, repubblicano e conservatore. Ma ha trovato pane per i suoi denti. Lei, filippina, immigrata, e figlia di un sarto, si è condita la first lady con una serie di deliziosi piattini messicani, punto debole della Signora. «Tanto George lo fai contento con poco. Basta non fargli sentire mai l’odore dei broccoli...».
Anche Putin è uno che non ti dà soddisfazione. É un maniaco della forma fisica, non gli piace la cucina, mangia pochissimo: fosse per lui un gelato basterebbe per il pranzo e per la cena. E si che il nonno paterno Spiridon Putin fu cuoco personale di Lenin e Stalin. Il suo erede Mikhail Zhukov, da quasi quarant’anni capo chef del Cremlino, prima di portare in tavola una pietanza è costretto ad attraversare un percorso di guerra. Ore e ore di ricerche, dibattiti, controlli: «Immagino il piatto, lo disegno, poi lo preparo e una volta provato lo sottopongo al Politburo...». Il Politburo della cucina: cinque cuochi fidatissimi, il medico, il consigliere tecnico, il capo dei servizi segreti. Settimane e settimane di progettazione per un piacere che dura cinque minuti. E che Putin nemmeno apprezza. Zhukov, pane al pane e vino al vino, dice di essere un nostalgico di Breznev: «Per lui abbiamo lavorato come pazzi. Congressi, riunioni, summit. Anche ventiquattr’ore su ventiquattro. Maiali interi, storioni interi, pernici intere, granchi interi». Poi solo vacche magre. «Gorbaciov assaggiava di tutto ma non mangiava niente e Yeltsin amava solo la vodka con i cetrioli...»
Come bambini. Bush lo accontenti con un panino e Putin con un gelato. Morale in agrodolce: i grandi della terra mangiano peggio di noi. Il giapponese Koizumi per esempio tradisce volentieri l’alta cucina per un yakitori, spiedini di pollo alla griglia marinati in salsa alle spezie. Il piatto giapponese più povero che c’è. Chirac si fa servire dai raffinati gourmet dell’Eliseo testa di vitello, cavolo farcito e salsiccia di fegato. E prima di pranzo un bel sandwich con doppia razione di burro. Se Tony Blair alla cucina inglese preferisce quella toscana Gerhard Schröder tradisce volentieri quella tedesca per il cinese. Per non parlare di Nelson Mandela: ha uno stomaco che ventotto anni di carcere hanno reso così tenero che si taglia con un grissino. E fatto venire il sangue amaro al suo giovanissimo chef che l’ironia del destino ha battezzato Hilton Little. Pare che anche in passato fosse la stessa minestra. Joël Normand, 60 anni, quarant’anni dei quali passati sulla tolda delle cucine dell’Eliseo, giura che nella patria dell’haute cuisine Giscard d’Estaing adorava cenare a uova bollite davanti alla tv e De Gaulle impazziva per le verdure in scatola.
Vivere da cuochi è sempre un bel pasticcio. Ora il più precario è Ulrich Kerz, cucinava nelle navi da crociera quando il cuoco di Helmut Kohl gli chiese: vuoi lavorare con me? Vai tu, io non vengo, gli disse invece quando la Cancelleria si trasferì a Berlino. Sarà il primo ad avere l’onore di servire una donna, Angela Merkel, pare sia una signora dai gusti difficili. Ma se gallina vecchia ingrassa la cucina... A una lady pensa anche Mark Flanagan, capo delle cucine di sua Maestà la Regina Elisabetta, che ha preso il posto di Lionel Mann, il veterano, che si è ritirato dopo 42 anni di onorato servizio. Dice: «Per un inglese non c’è onore più grande di cucinare per la regina». Ma ha il suo bel daffare. Deve servire cinque residenze reali, Windsor, Buckingham Palace, Balmoral, Sandringham e Holyrood House, muovere un esercito personale di 33 cucinieri, viaggia a bordo di un paio di camion dove il cibo viene imballato e sballato a regola d’arte. Impossibile, garantisce, che qualcuno possa avvelenare Sua Maestà. «Me ne accorgerei a colpo d’occhio...».


Per digerire i bocconi amari i Jeeves in livrea bianca hanno fondato il loro club: «Chefs des Chefs», c’è da ventotto anni, sono in trentacinque, ogni anno si radunano nel G8 culinario, due anni fa a Parigi, l’anno scorso a Washington, quest’anno a Praga, hanno un motto «un buon piatto unisce quel che la politica divide». Si scambiano segreti, dividono ricette, preparano uno per l’altro quello che il principale non apprezza. E i loro capi? Tutti a cena da McDonalds...

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