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L’Onu a Kabul: «Non si tratta con i terroristi»

da Kabul

«Le Nazioni Unite non credono nei negoziati con i terroristi, punto», dichiara senza mezzi termini al Giornale Adrian Edwars, portavoce dell’Onu in Afghanistan. A Kabul i commenti sulla liberazione di Daniele Mastrogiacomo in cambio di cinque prigionieri talebani sono in gran parte negativi, anche negli ambienti delle organizzazioni umanitarie. Non solo: i militari italiani, in prima linea contro le minacce fondamentaliste, «masticano amaro» per quello che è accaduto.
«Inoltre le Nazioni Unite sono preoccupate per la sorte dell’interprete afghano», aggiunge Edwars riferendosi ad Ajmal Naqshbandi, il collaboratore di Mastrogiacomo che doveva essere liberato, ma è sparito nel nulla. Non si sa ancora se è nelle grinfie dei talebani o nelle mani dei servizi afghani che lo vogliono interrogare sui 15 giorni di sequestro.
Ieri l’ambasciatore italiano a Kabul, Ettore Sequi, ha incontrato il ministro degli Interni afghano, Muqbeel Zarar, ed il fratello dell’interprete. Gli americani sono inferociti e rivelano che ne avevano parlato con il governo del presidente Hamid Karzai. «Gli Stati Uniti non ammettono alcuna concessione ai terroristi e abbiamo espresso la nostra posizione al governo afghano, prima del rilascio», dichiara una fonte ufficiale Usa a Kabul, non militare. Gli americani vivono in prima linea in Afghanistan e due giorni fa un convoglio dell’ambasciata è stato fatto a pezzi da un attentatore suicida nella capitale afghana. Lo scambio di prigionieri, secondo la fonte Usa, «è uno sviluppo dannoso per la situazione di questo Paese. Non va dimenticato che i talebani rilasciati torneranno a combattere» contro i soldati della coalizione internazionale, compresi i 1.900 italiani.
L’ambasciatore americano a Kabul si è incontrato con il nostro rappresentante, prima dello scambio di prigionieri e avrebbe espresso le stesse preoccupazioni. «Inoltre l’autista è stato decapitato ed i parenti della vittima hanno inscenato delle manifestazioni a Laskhargah che non promettono nulla di buono», sostiene la fonte americana. La famiglia di Said Agha non è ancora riuscita a recuperare la salma del poveretto, che si trova in zona talebana. Alcuni parenti sono giunti sul posto, ma i fondamentalisti pretendono che sia Mohammed Dawood, il fratello, ad andare a prendersi la salma. Lui ha paura di venire rapito o sgozzato, ma Emergency si è resa disponibile a dare una mano per recuperare il corpo.
Il portavoce del contingente italiano a Kabul rispetta l’ordine tassativo di non parlare con i giornalisti dello scambio di prigionieri, ma il Giornale ha trovato un altro canale per capire cosa pensano veramente i nostri ragazzi sulla prima linea afghana. «Non possiamo essere contenti, si mastica molto amaro nel sapere che coloro che in ogni modo stiamo cercando di debellare e sconfiggere (i talebani, nda), seguendo un preciso mandato del nostro governo, dallo stesso vengono poi fatti rilasciati con tanta superficialità...» spiega, a nome di molti, un militare in servizio in Afghanistan. La gestione del sequestro è stata «davvero inaccettabile per tutti coloro i quali fanno questo genere di vita lasciando per lunghi mesi le persone che più amano, per venire a rischiare la pelle dove il nostro tricolore è chiamato a sventolare».
Anche nell’ambiente umanitario non tutti applaudono allo scambio di prigionieri temendo che possa costituire un pericoloso precedente. I talebani hanno capito che sequestrando un occidentale si riesce a far liberare i loro compagni di lotta e potrebbero aprire la caccia allo straniero. «Un mio collaboratore afghano mi ha chiesto per scherzo, ma fino ad un certo punto: se ti sequestrano quanti prigionieri possono chiedere i talebani?», racconta al Giornale un veterano dell’intervento umanitario in Afghanistan. Alcuni sono convinti che Emergency potrebbe subire ripercussioni per avere organizzato lo scambio, anche violente. Nessuno vuole vedere il suo nome sul giornale, anche se appoggia a spada tratta lo scambio. «Ne siamo usciti a testa alta senza pagare dei dollari che sarebbero serviti a comprare pallottole. Meglio lo scambio dei prigionieri e nessuna perdita, a parte il povero autista, come è capitato con Calipari in Irak», sostiene un altro umanitario che si trova a Kabul. Invece le grandi organizzazioni non governative straniere non sono felici della piega che ha preso il sequestro Mastrogiacomo. «Siamo preoccupati per lo scambio di prigionieri e l’incerto destino dell’interprete - spiega Nic Lee, direttore di Anso, l’ufficio che dirama gli allarmi sicurezza alle Ong -.

Può costituire un precedente che rischia di coinvolgere altri civili stranieri che operano in Afghanistan».

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