da Roma
A Mauro Bulgarelli, irriducibile dei Verdi, Tom Koenigs è sembrato non un rappresentante dellOnu, ma addirittura «un capo di stato maggiore dellesercito». E il suo linguaggio persino non appartenente allOnu, in quanto «non rispecchia le sue origini di forza di pace». Esagerazioni dellultima settimana di baruffa prima del voto alla missione in Afghanistan. Laudizione alla commissione Esteri del Senato di Koenigs è stata a tratti condizionata da quel po di enfasi propagandistica che attiene a questi casi. Però il suo appello ha avuto il pregio di toccare il nocciolo duro del problema: «Italiani - ha detto Koenigs - restate in Afghanistan: anche se è un impegno costoso, a lungo termine e con numerosi problemi, abbiamo il dovere di tutelare la popolazione per non lasciarla da sola nelle mani dei talebani, dei terroristi di Al Qaida, dei signori della guerra, della loro povertà. Tutti loro hanno bisogno di voi, hanno già subito 26 anni di guerra, la comunità internazionale non può lasciarli soli».
Saranno pure demagogiche o retoriche, però le parole dellinviato di Kofi Annan aiutano a infrangere il muro dei pacifisti-resistenti. Anche quelli ragionevoli, come il rifondatore Francesco Martone, che resta «insoddisfatto» dellaudizione soprattutto per il merito di alcune questioni poste, ma «dribblate» dal diplomatico tedesco. «Nessuno vuole abbandonare gli afghani - dice Martone -, però occorre dare a quel Paese gli strumenti adatti». Anche per garantire «la stessa sicurezza dei soldati impegnati», ricorda il capogruppo di Prc, Giovanni Russo Spena. Lappello del rappresentante Onu è stato invece condiviso dalla Cdl, dal presidente della commissione Lamberto Dini, dal sottosegretario Vernetti. Poco prima di riferire in Senato, Koenigs era stato ricevuto alla Farnesina dal ministro DAlema: incontro di mezzora nel quale il rappresentante speciale dellOnu ha anticipato al titolare degli Esteri i contenuti della sua articolata disamina della situazione.
Secondo Koenigs, limpegno delle Nazioni unite in Afghanistan non è stato vano e «non si può confondere lAfghanistan con lIrak». «Ci sono stati progressi in tre quarti del Paese - ha spiegato -, una ripresa economica del 30 per cento lanno, visibile soprattutto nelle città. Cè stata anche una riduzione del ruolo dei signori della guerra e del loro potere. Esiste una libertà di stampa. Le truppe sono molto popolari e le azioni condotte dalle squadre di ricostruzione provinciale sono molto apprezzate dalla popolazione, specie a Herat dove ci sono gli italiani... Quattro milioni di rifugiati afghani sono ritornati anche se altri due milioni lo devono ancora fare...». Tutto bene? No, linviato Onu ha ammesso che i traguardi raggiunti sono inferiori alle aspettative: «Nel 2001 quando siamo intervenuti pensavamo che nel 2006 avremmo raggiunto maggiori risultati, ma forse non abbiamo investito abbastanza, se pensiamo che in Bosnia abbiamo investito 400 sterline pro capite, 440 in Kosovo e in Afghanistan solo 130...». Colpa anche dellintervento anglo-americano in Irak, che ha finito per «concentrare» forze e attenzioni su Bagdad.
Molte le sottovalutazioni e molti anche gli errori, specie nel Sud afghano, «in cui pensavamo fosse facile catturare i talebani e Bin Laden e abbiamo privilegiato le azioni militari... Ma in questa parte del Paese cè una forza di resistenza che non può essere contrastata con soli mezzi militari, occorre una strategia che preveda lutilizzo di forze di sicurezza, polizia, militari e naturalmente politiche».
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