L’Opec non tocca la produzione Il petrolio torna sopra quota 90

da Milano

Fino all’ultimo, l’Arabia Saudita ci ha provato. Ma, a parte i soliti alleati (Kuwait ed Emirati Arabi Uniti), Riad si è trovata di fronte un muro, granitico nell’opporsi a un aumento della produzione del petrolio, fermo nell’intento di mantenere invariato l’output a 27,25 milioni di barili al giorno. E così è stato.
Già nella mattina di ieri, ad Abu Dhabi, il vertice del Cartello si era di fatto già concluso con la vittoria dei falchi. Senza litigi. Senza polemiche. Con l’Arabia rientrata nei ranghi, l’organizzazione ha ritrovato un’apparente compattezza attorno a una strategia che si fonda su un unico principio: il mercato è ben rifornito, e dunque non c’è bisogno di aprire ancora i rubinetti.
Lo ha ripetuto anche ieri il numero uno dell’Opec, Mohammed al-Hamli, proprio mentre da Londra a New York il nulla di fatto del vertice arabo si traduceva in una volata delle quotazioni di oltre 2 dollari, con il barile tornato sopra quota 90 anche per effetto del calo delle scorte statunitensi (meno 8 milioni di barili). «Le riserve mondiali sono sufficienti - ha ribadito -, e non c’è ragione perché i prezzi tocchino i 100 dollari».
Il record di 98,62 dollari stabilito lo scorso 7 novembre, ovvero a pochi giorni di distanza dalla piena operatività dell’ultimo aumento di 500mila barili al giorno, ha in effetti dimostrato quanto stia mostrando la corda la vecchia politica di ritoccare verso l’alto le quote. Soprattutto ora che il barile è sempre più trattato come un contratto finanziario. «Non siamo più in grado di controllare i prezzi», aveva ammesso un paio di settimane fa il ministro venezuelano del Petrolio, Ramirez. Una dichiarazione di resa a tutti gli effetti. Motivo che rende ancora più delicato il ruolo dei signori del petrolio. Costretti a far fronte al calo degli introiti provocato dalla debolezza del dollaro, ma anche all’elevato livello delle quotazioni che rischia di spingere i Paesi consumatori a pigiare sul pedale delle energie alternative.
Un eventuale incremento dell’output avrebbe risposto all’esigenza di placare i timori dei Paesi consumatori, come ricordava ieri il Financial Times, sui quali incombe lo spettro della stagflazione (crescita stagnante accompagnata da alta inflazione). L’opera di moral suasion dell’Arabia Saudita non è però andata a segno. Il recente indebolimento delle quotazioni del greggio ha probabilmente ricompattato il Cartello attorno alla decisione di lasciare tutto invariato. E di rimandare l’eventuale cambio di rotta al vertice straordinario che si terrà il prossimo primo febbraio a Vienna e che precederà la riunione già in calendario per il 5 marzo.

D’altra parte, anche se il tetto produttivo ufficiale è rimasto invariato, Angola e Irak (escluse dal computo delle quote assieme all’Ecuador) dovrebbero aumentare l’offerta per complessivi 400mila barili al giorno, portando quindi l’output totale Opec, all’inizio del 2008, a circa 27,7 milioni. Uno sforzo che, comunque, i mercati potrebbe non ritenere sufficiente.

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