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L’opera indispensabile e i diritti dei cittadini

L’opera indispensabile e i diritti dei cittadini

(...) Non me la dimenticherò facilmente, la voce all’altro capo del filo dei cittadini di Murta, un tempo la collina della villeggiatura genovese, oggi una delle possibili aree interessate ai lavori del nuovo nodo autostradale genovese.
Non me la dimenticherò facilmente la lettera di Riccardo, un nostro lettore, che mi raccontava drammaticamente di come si sentisse, con lo stesso stato d’animo di quando venne sfollato nel 1943. Lettera a cui ha già risposto su queste colonne il sindaco Marta Vincenzi e su cui interviene oggi, a pagina 48, anche il leader del Movimento indipendentista ligure Vincenzo Matteucci.
No, non me li dimenticherò. E lo dico da cittadino convinto che Genova non può chiudersi al mondo, che non può isolarsi, che la Gronda è indispensabile e che quelli che spiegano che bastano più ferrovie, Sponda del Polcevera, Strada a Mare di Cornigliano, porto lungo e metropolitana cittadina, spesso sono guidati da cattivi maestri. Non che non abbiano ragione. Non che non si tratti di interventi utili, quando non indispensabili (ho un distinguo solo sulla metropolitana, ma ne parleremo in un’altra occasione). Ma tutto questo non è alternativo alla Gronda. Tutto questo vive insieme alla Gronda. Genova stessa vive insieme alla Gronda. E ripetere come un mantra tutto il resto non aiuta a risolvere i problemi.
Quindi, la domanda è: come si conciliano quelle facce, quelle voci, quelle lettere, quelle domande, con la Gronda? È chiaro che cento-cinquecento-mille-persino diecimila persone non possono bloccare una città. Ma è anche chiaro che non possono pagare sulla loro pelle tutti i disagi e le sofferenze che la Gronda implicherà. Che non devono essere martiri della Gronda.
E allora bisogna partire proprio da questo. Le persone, le vite, i ricordi vengono prima dei tracciati. E invece io credo che il Dibattito Pubblico, organizzato così, sia stato un’enorme sciocchezza. A partire dal fatto di aver posto in competizione cinque tracciati, come se fosse una gara.
L’idea del sindaco e dei suoi consiglieri di un’«ingegneria popolare», in realtà rischia di essere un bruttissimo scherzo. Perchè - come ha ricordato proprio su queste pagine Walter Bertini, uno dei migliori esperti di trasporti su cui possiamo contare in Liguria - in Francia, il dèbat public si svolge a partire da un tracciato e non dalla scelta fra più tracciati. Nè io, nè le casalinghe di Rivarolo, nè i Comitati di Voltri, nè gli ingegneri di Sestri Ponente abbiamo gli strumenti culturali, tecnici e trasportistici per affrontare i percorsi dell’autostrada e coinvolgere i cittadini in tematiche così specifiche rischia di essere un pericolosissimo eccesso di democrazia.
Intendiamoci sulle parole. La democrazia è il migliore dei mondi possibili. Sugli eccessi bisogna andarci cauti. Perchè rischiano di essere roba da apprendisti stregoni. Perchè rischiano di lasciare in mano il pallino a qualche cattivo maestro, che magari alle riunioni non si è mai nemmeno visto, e che fomenta gli animi. Soprattutto, perchè il Dibattito Pubblico genovese rischia di trasformarsi un po’ nel momento in cui, a scuola, qualcuno di noi gridava: «Sciopero!», «Assemblea!» o «Tutti fuori!» e tutti uscivano in massa un po’ per marinare le lezioni, un po’ per fare casino e un po’ per vedere l’effetto che fa.
Insomma - come ho avuto modo anche di dire nella bella puntata di Genova allo specchio, martedì sera, dove voci attestate sulla linea del «sì» come quella di Gigi Leone del Secolo XIX, voci sulla linea del «sì, ma» come la mia e voci sulla linea del «no» come quelle della padrona di casa Franca Brignola, hanno dato vita a un bel coro polifonico, come spesso accade a Telegenova, grazie anche a un editore liberale come Raimondo Lagostena - l’errore di proporre cinque tracciati è gravissimo. E immediatamente dopo viene l’errore di aver messo sul sito internet del Comune gli indirizzi delle case che verrebbero espropriate in caso di passaggio della Gronda da uno o dall’altro tracciato. Circostanza che ha messo in (sacrosanto) allarme anche coloro che la Gronda se la vedranno passare a dieci chilometri da casa. E che quindi con gli espropri non c’entreranno nulla.
Ecco, io credo che a tutte queste persone, a tutta la gente perbene che vive lungo i tracciati veri o presunti, al popolo del Ponente e della Valpolcevera, occorra essere vicini. Ma vicini davvero. Non urlando e non invitandoli ad urlare più forte. Anche perchè, alla fine, la loro sorte rischia di essere quella di restare senza voce, con la Gronda comunque dentro casa e in cambio di un tozzo di pane, nel migliore dei casi.
Soprattutto, ribadisco, mi pare vergognoso che i tracciati vengano prima delle persone. Le sfumature tecniche prima di scelte che porteranno ad espropriare non solo le case, ma forse pure i ricordi. Le persone non sono numeri: 1,2,3,4,5. Le persone non sono aggettivi: alta, medio-alta, intermedia, medio-bassa, bassa. E qui sta l’enorme errore del Comune di Genova, l’enorme presunzione del Dibattito Pubblico, l’enorme demagogia di chi è andato a dire in giro che l’opzione zero era possibile, che fare la Gronda o non farla in fondo è la stessa cosa. Che magari il trenino di Casella (con tutto il rispetto e un’ammirazione sconfinata per il trenino di Casella) è una buona alternativa.


Una sola cosa mi sento di dire ai cittadini interessati. Attenti ai cattivi maestri. E un consiglio: anzichè urlare, iniziate a trattare. Non soldi, non solo. Ma qualità della vita. Ex malo bonum, dicevano i latini. Spesso vale anche oggi.

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