«L’Opera di Roma? Nessuna proposta»

Per il maltempo l’orchestra rinuncia al «Te Deum»

«Io al Teatro dell'Opera di Roma? L'ho saputo dai giornali, ma non mi è stata fatta ancora alcuna proposta. In altre parole nessuno si è fatto avanti». Tonico più che mai, lucidissimo nella sintesi e nella chiarezza, nonostante il forno a microonde in cui tutti boccheggiamo a Meknes, Riccardo Muti risponde così alle domande dei giornalisti sul suo futuro prossimo venturo. Un futuro che sembra, in verità, essere l'ultima delle preoccupazioni per il grande direttore d'orchestra che, lasciatasi appena alle spalle l'insolita notte con il concerto di piazza Lahdim, nella città imperiale marocchina, rifà i bagagli per infilarsi sull'aereo che lo porterà a Salisburgo alle prove del Flauto Magico. Ricapitolando: tutto è nato dal ritiro annunciato da Gianluigi Gelmetti, l'attuale direttore artistico dell'Opera che ha espresso la volontà di lasciare il suo incarico a fine mandato, nel 2008 augurandosi che l'auspicata riconferma del sovrintendente Francesco Ernani possa portare ad affidare l'incarico di direttore musicale «ad un musicista, artista ed amico, quale Riccardo Muti». Qui comincia e qui finisce il nuovo toto-nomine dell'estate musicale.
Tanto più che Muti ribadendo in Marocco l'amicizia che lo lega a Gelmetti e gli ottimi rapporti di collaborazione con l'Opera di Roma e con il sindaco Veltroni, pescando nella sua verve apulo-campana, se la cava con una battuta: «Sono molto amico anche di Cacciari, che, peraltro, ho incontrato qualche giorno fa. A lui, per esempio piacerebbe vedermi a Venezia e allora che cosa dovrei dire a questo punto? Che tutti mi vogliono? La verità vera è, invece, che non so esattamente chi mi vorrebbe».
Torniamo all'ultimo successo annunciato, e puntualmente confermatosi tale, ossia questo decimo appuntamento con l'itinerario musicale delle «Vie dell'amicizia», ideato e fortissimamente perseguito, in questi anni, dalla presidente del Ravenna Festival, Cristina Mazzavillani Muti. Non è stato azzardato, Maestro, proporre a Meknes, la città del sultano, Moulay Ismail, custode dell'islamismo più ortodosso, brani come la Stabat Mater? E perché proprio Verdi con i suoi Don Carlo e la Forza del Destino? Fingendosi infastidito dalla domanda, Muti accenna un melodrammatico svenimento prima di rispondere ma poi, fotogramma dopo fotogramma, in rapida successione, sviluppa il film musicale di questo suo intervento in terra marocchina. «Lo Stabat Mater racconta il dolore di una madre per la perdita del figlio. E questo dolore è universale, non è patrimonio esclusivo dell'Oriente o dell'Occidente, la Vergine degli Angeli, Maria, cui si rivolge il canto struggente del coro che, accompagnando il solenne sacrificio di Leonora chiude il secondo atto della Forza del Destino, viene espressamente ricordata dal Corano come la madre del profeta Issa, per noi Gesù Cristo, e a lei è dedicata un'intera Sura, una particolarità che accomuna Cristianesimo e Islam» .

E Verdi? Verdi quando si tratta di amicizia, quando si deve parlare con la musica di amicizia fra i popoli è l'autore più rappresentativo del nostro modo di essere, che al meglio interpreta la nostra italianità. Verdi commuove, e la commozione è uno dei pochi sentimenti che unisce e affratella per davvero anche i popoli più diversi».
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