L’ordine del prefetto: «Tutti i bimbi islamici alla scuola pubblica»

Ieri l’incontro con i rappresentanti degli alunni musulmani di Milano: «Li aiuteremo, ma non c’è alternativa alla legalità»

Gianandrea Zagato

da Milano

C’è solo un destino per i cinquecento alunni di via Quaranta e si chiama scuola pubblica. Unica possibilità «nel rispetto delle regole, della legalità» opposta «al contrasto che potrebbe essere anche duro con rezioni nette delle autorità italiane» ammonisce Bruno Ferrante. Condizione ridettata dal prefetto ai rappresentanti della scuola islamica chiusa dal Comune di Milano «per un problema di contenuti didattici e di modelli educativi».
Messaggio fermissimo e accompagnato dalla certezza che gli istituti milanesi faranno «la loro parte». Come? Accogliendo in classe i cinquecento ex iscritti della scuola islamica: al mattino insieme agli altri studenti, lezioni comuni - storia e geografia, matematica e inglese -, poi sui banchi anche al pomeriggio ma, stavolta, da soli per seguire corsi di lingua araba e sempre con il sostegno costante di «facilitatori» culturali e linguistici. Soluzione che, oggi, sarà «operativamente» discussa in via Ripamonti, sede del Provveditorato, e successivamente «illustrata e dettagliata» ai genitori dei ragazzi che frequentavano la scuola islamica mai ricosciuta dallo Stato italiano. Mediazione «con rispetto per le identità culturali» dicono dal provveditorato, dove è già pronta una mappa delle scuole che saranno coinvolte nel progetto.
Passaggi obbligati per far tornare in classe «nella legalità» quei ragazzi che sono gli unici, in Lombardia, a non essere ancora seduti dietro un banco: «Bisogna però far conoscere alle famiglie - veri soggetti di decisione - le opportunità offerte dalle scuole milanesi per conseguire un titolo di studio valido in Italia, senza mortificare l’identità culturale e religiosa dei loro figli» annota Paolo Branca, docente di islamismo all’università Cattolica. Osservazione che la dice lunga sulla disponibilità data finora dalle famiglie interessate: «Ignorano che il sistema scolastico pubblico anche attraverso adeguate sperimentazioni già avviate è in grado di accogliere questi alunni non facendo della classe un luogo di assimilazione ma di intercultura» sostiene don Virginio Colmegna, ex direttore della Caritas ambrosiana. Anche lui è della partita convinto che il centro di via Quaranta non era in grado di offrire «programmi svolti secondo l’ordinamento vigente, l’orientamento interculturale - bilinguismo, storia e cultura del paese d’origine -, educazione alla cittadinanza democratica e abilitazione degli insegnanti».
Riassumendo: piena disponibilità da parte delle Istituzioni di trovare un accordo, anche lasciando aperta la strada della scuola parificata «che è un percorso più lungo», se c’è, naturalmente, l’ok delle famiglie interessate - «un gruppo di irriducibili andrà avanti con l’istruzione paterna, con le lezioni nel salotto di casa per quattro o cinque ragazzi» conferma il prefetto. Opzione consentita dalla legge così come la scuola per stranieri che, parte della comunità islamica, vorrebbe aprire in attesa della parificazione.

Ma quest’ultima possibilità è già stata cassata sia dalle Istituzioni che dal mondo della scuola meneghina. Chiaro: c’è solo la scuola pubblica nel futuro dei cinquecento bambini, per lo più egiziani. Adesso, dire di «sì» spetta solo ai loro genitori.

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