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L’oro vola a quota 550 dollari

I rialzi alimentati da Cina e fondi, che nel 2006 investiranno 110 miliardi nelle materie prime

Pino Mencaroni

da Milano

Oro ai massimi dalla primavera del 1981. Ieri il vento del rialzo ha soffiato a tutte le latitudini del pianeta: fixing londinese a quota 541,50 dollari l’oncia, stessa musica sui mercati asiatici dove l’oncia ha sfiorato quota 545 dollari e nuovo strappo sul mercato future di New York a quota 550 dollari.
«Il test decisivo per il raggiungimento di nuovi picchi deve essere ancora affrontato. Se il metallo giallo dovesse superare nei prossimi giorni il muro di 564-565 dollari l’oncia, allora a fine febbraio quota 600 dollari sarà a portata di mano», spiega Robert Baron, ad di Delta Forex, società italiana che opera nel campo degli investimenti aurei.
Si tratta di una cavalcata iniziata all’indomani dell’attentato terroristico alle Torri Gemelle. Il 12 settembre 2001 l’oncia volò, dopo mesi e mesi di immobilismo, da 272 a 291 dollari. Motivo? La ricerca da parte degli investitori di un “porto sicuro” a fronte dei pericoli imposti dal terrorismo internazionale. Da allora, le quotazioni hanno registrato un aumento del 100%.
«Quello che è cambiato rispetto al passato è la relazione tra l’andamento dell’oro e quello del dollaro - spiega Baron -. Il metallo giallo è salito sia quando il dollaro scendeva, fatto assolutamente normale, e sia quando, come nel 2005, il biglietto verde si è rafforzato. Inoltre, a differenza dei primi anni 80 caratterizzati da iperinflazione e tassi di interesse alle stelle, questa volta sia il costo delle vita sia quello del denaro restano su livelli assolutamente contenuti. La differenza l’hanno fatta i nuovi ricchi della Cina, sempre più interessati a diversificare gli asset, e il massiccio ingresso dei fondi, non solo speculativi, ma anche pensionistici e comuni, nel vasto arcipelago dei prodotti finanziari legati ai prezzi delle materie prime, oro incluso».
In effetti, come emerso anche nei meeting dell’Aspen Istitute, nel biennio 2002-2003 i fondi avevano puntato sulle materie prime circa 20-30 miliardi di euro. Il 2005 dovrebbe essersi chiuso a quota 80 miliardi. Per il 2006, gli analisti della Barclays prevedono che il flusso di denaro che dai fondi si riverserà sulle materie prime salirà a 110 miliardi. D’altra parte, gli investitori istituzionali hanno trovato terreno fertile grazie alla robusta crescita economica di Cina (più 9,4%), India (7,2%) e alla fine della deflazione in Giappone. Molti analisti invitano anche a non sottovalutare la continua proliferazione degli Exchange Traded Funds, soprattutto in Asia e Usa. Prodotti finanziari che consentono non solo ai grandi, ma anche ai piccoli risparmiatori di scommettere sulle materie prime. Ultimo elemento la crescita della domanda da parte della gioielleria sia in India sia nell’area dei petrodollari.
Si tornerà a rivedere il record storico del 1980 a quota 850 dollari l’oncia?. «Il mercato salirà ancora, quota 600-650 è raggiungibile - spiega Eugenio Accongiagioco della londinese Odl Securities che ha clienti in 64 Paesi -.

Se però dovessimo arrivare fino a 850 dollari, allora temo che nell’economia globale o nell’ambito geopolitico sarà successo qualcosa di veramente grave. Per tali vette non basta né il denaro dei fondi né quello di Pechino.

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