È strano che Umberto Pizzi da Zagarolo, come lo ha ribattezzato Roberto DAgostino in arte Dagospia, citi fra i suoi compaesani il compositore Goffredo Petrassi, il vescovo-esorcista Emmanuel Milingo, Franco Franchi allultimo tango, i produttori di bianco dei Colli Albani, insomma tutti tranne lui, luomo del giorno: Stefano Ricucci. Eppure limmobiliarista che voleva scalare il Corriere della Sera è molto legato al borgo natìo, al punto da tenervi murati, in unintercapedine nello scantinato, 131 scatoloni con dentro gli archivi della propria holding e i calendari osé della moglie Anna Falchi.
È strano perché Umberto Pizzi da Zagarolo è il fotografo italiano che più di tutti sta sulla notizia, ha un radar infallibile per i personaggi trendy. La dimenticanza probabilmente si spiega col fatto che il pontifex maximus dei paparazzi è, come tutti i pontefici, un geloso custode dellortodossia e dunque ai parvenu che mai saranno ammessi nei salotti romani preferisce i volti stagionati del potere temporale: i Capi di governo, i Ministri, i Segretari di partito, i Parlamentari, i Direttori di giornale, i Nobili, i Banchieri, i Capitani dindustria.
È vero, anche lui come Ricucci viene dalla fame («famiglia proletaria, padre contadino, madre casalinga, la loro unica ricchezza erano i sette figli, io sono il quarto»), ma non può esistere confronto tra un furbetto del quartierino e un aristocratico cronista il cui archivio di 1,3 milioni dimmagini è protetto dal ministero per i Beni culturali, alla stregua dei dagherrotipi degli Alinari, in quanto «rappresenta testimonianza unica e particolare della vita politica e sociale del nostro Paese». Per metterlo insieme, Pizzi sè pigliato sulla testa le bottiglie vuote di Dom Pérignon scagliate da Liz Taylor, ha fatto a pugni con Walter Chiari per un flash di troppo sparato ad Ava Gardner, ha preso per il culo letteralmente leccentrica baronessa Francesca von Thyssen, ramo acciaierie, tradita a Palazzo Volpi, sul Canal Grande, da un abito di Versace con svolazzante strascico di due metri e soprattutto dallabitudine di non indossare le mutande («una foto allegorica, ha fatto il giro del mondo, 130.000 dollari al netto delle spese e citazione sul New York Times»).
Lassidua frequentazione delle stanze del potere ha finito per trasformare Pizzi da spettatore in protagonista. Molto bipartisan. Ha tenuto lezioni di psicologia della fotografia alla Lumsa, università cattolica. Ha istruito i futuri esperti di comunicazione politica che frequentano la scuola privata di Claudio Velardi, già capo dello staff di Massimo DAlema a Palazzo Chigi. È stato persino chiamato dai Giovani imprenditori di Confindustria a immortalare le loro smorfie allannuale convegno di Capri, il che fa supporre che Matteo Colaninno sia in procinto di cedere la presidenza a Giacomo Tafazzi, lo scrotolesionista di Mai dire gol.
Nonostante il metro e 82, a vederlo sembra Cucciolo, il più piccolo dei sette nani, con quel berretto di lana calcato sulla crapa al punto da fargli risultare le orecchie a sventola, il sorriso stupefatto, il naso paonazzo per il freddo rimediato durante gli interminabili appostamenti. Il suo roccolo prediletto lo allestisce di sera sulla scalinata di Trinità dei Monti, davanti alla residenza di Maria Angiolillo, vedova del fondatore del quotidiano Il Tempo. Con grande disappunto della signora e dei suoi illustri invitati, che lindomani si ritrovano impallinati sul sito Dagospia e vengono per soprammercato sospettati dintelligenza col nemico, visto che nessuno è mai riuscito a scoprire come faccia Pizzi a trovarsi lì nel giorno giusto allora giusta. Se non fosse ateo e «de sinistra rosso antico» e se non avesse ritratto uno dei cerimonieri pontifici fra le drag queen e Amanda Lear a una festa dello stilista Gai Mattiolo, per la costanza con cui da oltre mezzo secolo tiene docchio i sancta sanctorum capitolini avrebbe diritto a un unico soprannome: LOsservatore Romano.
Di qui a diventare un osservato speciale il passo è stato breve. Nel Rapporto 116 del dossier Mitrokhin si legge che nel 1970 fu reclutato dal Kgb, nome in codice Walter, come un contatto fidato. Pare che lo spionaggio russo se ne servisse per controllare persone sospettate di collaborare con i servizi segreti americani e italiani. Dopo sette anni lagente di Zagarolo avrebbe allentato i rapporti informando Mosca che il suo grado distruzione glimpediva di sostenere conversazioni atte al reperimento dinformazioni utili.
Via, Pizzi, così ignorante è?
«Diplomato alle commerciali e poi autodidatta».
Si figuri se in Urss stavano lì a sottilizzare sui titoli di studio.
«Non so come sia nata questa storia. Se fossi stato una spia, ora sarei a Zagarolo a fare vita agreste. Invece a 68 compiuti me tocca ancora de lavora. Sa qual è la cosa più incredibile?».
No, quale?
«Credevo che lItalia fosse un Paese normale. Mi sputeranno addosso, ho pensato quandè uscita la notizia. Invece la gente per strada mi guardava ammirata».
Insomma nega.
«Nego sì. Forse avrò incontrato qualcuno, che ne so? Con tutta la gente che vedo... La prima volta che andai oltrecortina fu nellanniversario dellinvasione di Praga e mi presi pure un sacco di botte».
Non fu incaricato dindagare sulle donne che lavoravano nelle strutture della Nato?
«Ero sulla portaerei Nimitz nel Golfo della Sirte con una giornalista del settimanale People quando nel 1986 gli americani bombardarono la residenza di Gheddafi a Bab Al Aziziyyah. Che centrano le donne della Nato? E comunque, ripeto, se qualcuno mavesse prezzolato ora vivrei di rendita, le pare?».
Invece deve sgobbare per Dagospia.
«Da Roberto DAgostino non ho mai preso una lira».
Allora perché collabora?
«Perché è lunico modo per veder pubblicato subito il mio lavoro come voglio io. Dagospia è la rivoluzione mediatica. Non cè stato niente di più nuovo, negli ultimi cinque anni».
Soldi dal Kgb niet, soldi da Dagospia nemmeno. Di che campa?
«Vengo pagato dai giornali che usano le mie foto apparse sul sito».
Comè arrivato al fotogiornalismo?
«Per caso. Ho cominciato a lavorare a 12 anni: falegname, scaricatore di forati nei cantieri, lavapiatti, aiuto infermiere nelle cliniche... Dica un mestiere, e io lho fatto. A 18 mi fu offerto di accudire il titolare dellalbergo Ambasciatori Palace di via Veneto. Gli avevano amputato una gamba e io lo accompagnavo in giro sulle sue due Rolls-Royce. Mi restava un sacco di tempo libero per guardarmi attorno. Da un paesano comprai la prima macchina, una Voigtländer a soffietto, e con quella cominciai a riprendere alberi e facce. Scattavo, stampavo e mettevo nel cassetto. Erano gli anni della dolce vita, però a me di Anitona Ekberg non me ne fregava niente».
Ma senti.
«Una fisioterapista del mio datore di lavoro mi presentò a una photoeditor della Fao. Mi comprai la prima Nikon e presi a girare il mondo per conto di Freedom from hunger, la campagna dellOnu contro la denutrizione. Andai fra i disperati delle miniere turche di Zolguldak, fra i beduini nel deserto fra Giordania e Arabia Saudita, fra i profughi curdi in Irak e Iran. Ma presto mi accorsi che potevo diventare uno di loro».
Era alla fame.
«La Fao pagava poco. Perciò mintruppai fra i paparazzi romani. Dopo una settimana avevo capito il meccanismo».
Cioè?
«Facevano branco. Decisi di lavorare per conto mio ed ebbi subito successo».
Come?
«Beccai Romano Mussolini che entrava allalbergo Sitea con la madre di Sophia Loren. A suocera, pe capisse. Diedi le foto a Gente, ma non uscirono mai. Mi dissero che le aveva bloccate il produttore Carlo Ponti, il marito di Sophia. Ci potevo comprare un appartamentino. Conservo ancora i negativi».
Anche con la Loren non ci andava leggero.
«È stato uno dei miei soggetti fissi. Mha pure fatto arrestare. Accadde nellisola di Santa Lucia, ai Caraibi. Il pedinamento più costoso della mia carriera. Aveva una storia con un endocrinologo francese. Mi scoprì e chiamò la polizia. Tre giorni in una prigione spaventosa, con una crosta di pane e mezza gavetta di rum dentro cui galleggiavano i mosquitos. Nel 1978 ebbi la mia rivincita: la pizzicai a Parigi, a Port Maillot, dentro una Mini Minor guidata da lui, il professor Emile-Etienne Beaulieu, linventore della pillola abortiva Ru486. Ma con Sophia siamo rimasti amici. Quando mi vede in circostanze ufficiali esclama: Ah, cè anche Pizzi!».
Laltro bersaglio era la Taylor.
«Naïf, imprevedibile. Scendeva al Grand Hotel e per i primi tre giorni rimaneva chiusa nella suite al primo piano a bere. Una volta, mentre stava col miliardario Malcolm Forbes, uscì sul terrazzo col capo inturbantato da un asciugamano. Saccorse della mia presenza e salutò col dito medio. Unaltra volta ballava mezza sbronza al Brigadoon e le cadde un brillocco. Sembrava impazzita. Alla fine fui io a ritrovarle in pista la noce di brillanti. Voleva danzare con me per sdebitarsi. Le dissi: a Liz, lassa perde, famo le foto piuttosto».
Possibile che non fosse mai sobria?
«A Capri, nella piscina della villa di Valentino, lei e Richard Burton sattaccavano alla bottiglia appena svegli. Liz aveva dei rotoli di pancia mostruosi. Alla Cabala lho vista portata via di peso dai gorilla dellarmatore Aristotele Onassis, ubriaco fracico pure lui».
Chi era il più bravo a sfuggire alle imboscate?
«Gianni Agnelli. Quando saccorgeva dessere pedinato, prendeva i lungotevere contromano ai 120 allora pur di seminarmi. Una sera lo incastrai alluscita del Jackie O. Era in compagnia di una giovane modella americana, Ramona Ridge. Lindomani alle 7 mi svegliò Luca Cordero di Montezemolo e chiese di comprare il servizio fotografico. Mi dispiace, ma io vendo solo ai giornali, gli risposi».
Altrimenti passava per un ricattatore.
«Appunto. I cinque scatti furono acquistati in esclusiva dallEco dellIndustria, un giornalino della Fiat».
Mai sentito nominare.
«Eppure lindirizzo sulla fattura era corso Marconi, Torino».
Furono gli scatti più pagati?
«No, il servizio che mi fece guadagnare una cifra lo realizzai dopo la morte di Grace Kelly. Sembrava che Ira Fürstenberg, la figlia di Clara Agnelli, dovesse sposare il principe Ranieri di Monaco. Foto di merda, rubate di notte con un teleobiettivo da 300 millimetri. Ma strapagate».
Come fa a essere sempre sui fatti?
«Sento lodore della notizia. Rischio».
Però a casa Angiolillo va a colpo sicuro.
«Ho i miei informatori. La signora sarrabbia, mi telefona per sapere i loro nomi. È arrivata a fare il totospia con laiuto del generale Nicolò Pollari, il capo degli 007 del Sismi. Hanno escluso a turno dalle cene uno solo dei commensali. Niente da fare. Ho stretto un patto con la Angiolillo: le svelerò il nome del traditore quando saremo entrambi in pensione».
Quali sono i salotti romani più importanti?
«I salotti romani esistono perché esiste Pizzi. Ci fosse uno che fa il mio stesso lavoro al Nord, esisterebbero anche i salotti milanesi. Ho voluto andare in trasferta alla prima della Scala, per vedere se le sciure meneghine erano diverse. È entrata una signora nel foyer, elegantissima nella sua gonna con spacco. Me faccia vede un pochetto le gambe, le ho chiesto. E quella sè scoperta, esattamente come fanno le romane».
Attendo risposta.
«Il salotto di Maria Angiolillo è il number one. Il secondo è quello di Marisela Federici, lex moglie di Roger Tamraz, il miliardario libanese proprietario della Tamoil. Sta sullAppia Antica, ci puoi trovare dal re dello Swaziland in costume piumato, con codazzo di mogli, al presidente marxista Hugo Chavez, perché la signora è di origini venezuelane. Poi vengono quelli di Guya Sospisio, dovè ospite fisso Bertinotti, e di Sandra Verusio, amica di Carlo De Benedetti, la musa dei radical-chic, o sciccosi come li chiamo io, dove si attovagliano abitualmente DAlema e Fassino».
Ma si divertiranno?
«Più che altro magnano. Le cene dalla Angiolillo e dalla Verusio devono essere du palle... A mezzanotte in punto scappano tutti, sembrano tante Cenerentole. La Federici e la Sospisio sono più frizzanti, a quellora aprono le danze».
Perché il salotto della Angiolillo è così importante?
«Sarà perché è ristretto, solo 36 posti divisi in tre tavoli».
Il primo ad arrivare chi è?
«Lavvocato Giuseppe Consolo di An, padre di Nicoletta Romanoff, la protagonista del film Ricordati di me».
Lultimo ad andarsene?
«Sandra Alecce, moglie di Franco Carraro, presidente della Federazione italiana giuoco calcio».
Il più carino con lei?
«Pierluigi Magnaschi, il direttore dellAnsa. È stupendo. Mi bacia ogni volta che lo colgo sul fatto. E ogni volta mi tocca ripetergli che non gli rivelerei le mie fonti neppure se mi assumesse».
«Non cè Natale senza Angiolillo», ha detto al brindisi di fine anno il sindaco Veltroni.
«Walter Ego pensa alle sorti di Roma. E la sora Maria, nel bene e nel male, è la dea di Roma, quella che muove lambaradan. Non a caso la statua di Igor Mitoraj intitolata Dea Roma, donata alla città da Finmeccanica, ha le bellissime sembianze della Angiolillo da giovane».
Se vincesse le elezioni Romano Prodi, lei avrebbe vita dura: ha dichiarato che detesta Roma e i suoi salotti.
«Lho fotografato una sola volta negli Anni 80, gli davano un premio come dirigente dellIri. È uno così... Sembra un travet. Privo di carisma. Vuoi mettere DAlema? Non cè paragone».
È vero che neppure la guerra riuscì a fermare le feste nei salotti?
«Ma manco la morte del Papa! Le fanno solo più nascoste. Ne organizzarono una, con tanto di danza del ventre, allUltima luna, un locale libanese sulla Nomentana, mentre Giovanni Paolo II era ancora sul catafalco».
Come mai nelle sue foto non ci sono mai i volti della Tv?
«È troppo cafona. Mi volevano a Unomattina accanto a Carmen Di Pietro. Ma che è? Sparamo sulla Croce rossa? Pizzi si occupa del potere. In televisione si fanno del male da soli, non servo io».
Lei non è mai stato menato?
«Di solito si trattengono per rispetto dei capelli bianchi. Fui aggredito dai gorilla di John Bobbit, il marito americano che era stato evirato dalla moglie Lorena. E Gérard Depardieu, mezzo ubriaco, mi diede un cazzotto: io mi scansai e gliene rifilai uno in piena faccia. Ne riparleremo, bofonchiò. Più risentito».
Avrà alluso a una querela.
«Casca male. Sono io a far causa. Mick Jagger dei Rolling Stones mi scaraventò giù dalle scale dellhotel Parco dei Principi e dovette cacciare un sacco di soldi per i danni».
Cè qualcuno che ci tiene a farsi fotografare?
«Pippo Marra, direttore dellagenzia Adnkronos, prima di baciare DAlema allo stadio guarda verso di me per assicurarsi che lo stia puntando col teleobiettivo».
Esiste una situazione in cui il diaframma della macchina fotografica di Umberto Pizzi resta chiuso?
«Per me sono sacri solo i bambini e i malati. Non fotograferei mai qualcuno che muore in un letto dospedale».
(317. Continua)
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