Lufficio politico, convocato per mezzogiorno, allora di pranzo è ancora in corso. Ma sono passati solo pochi minuti dalluna quando il segretario del partito centrista, Lorenzo Cesa, si presenta davanti ai giornalisti per sillabare una dichiarazione tanto striminzita quanto chiara: «Per lUdc non esiste una data diversa dal 9 aprile per celebrare le elezioni politiche. Non siamo disponibili ad altri giochi, né giochini». Un messaggio molto chiaro per il Quirinale e per la maggioranza, per Palazzo Chigi: al termine dellufficio politico, Cesa aggiungerà che il partito di Pier Ferdinando Casini non ha avuto contatti con Forza Italia prima o durante la riunione, che ha deciso in piena autonomia. Ma ha spiegato che tra gli alleati non ci saranno problemi per questa posizione. «Non è in contrasto con quanto ipotizzato ieri dal premier sulle elezioni - spiega ancora il leader dello scuodocrociato - perché la data del 9 aprile era già stata concordata». Però, riguardo alle affermazioni del premier, non risparmia un rilievo critico: «Può dire quello che vuole, ma non ci piace».
Non è stato una giornata facile, in ogni caso: nellufficio di presidenza, che si è svolto nella sede del partito di via Due Macelli erano presenti, tra gli altri, oltre al segretario, il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, i ministri Mario Baccini e Carlo Giovanardi, lex segretario Marco Follini, il presidente dei senatori centristi Francesco DOnofrio, il vice ministro Mario Tassone e il presidente della commissione Attività produttive di Montecitorio Bruno Tabacci. Che le parole del segretario del partito siano il frutto di una strategia calcolata e corale, che unisce tutto il gruppo dirigente, lo si capisce subito, quando le parole del presidente della Camera le rafforzano senza se e senza ma: «Per lUdc parla il segretario e ha parlato in termini chiari. Non perdiamo tempo in cose inutili». Si tratta, insomma di una presa di posizione concordata, e non sarebbe potuto essere altrimenti, insieme allo stesso Casini e agli altri notabili di via due Macelli. Così come non può certo considerare casuale, la quasi contestuale presentazione di una raffica di emendamenti centristi - sempre ieri - alla legge Pecorella sullappellabilità.
Tra i «governisti» dello scudocrociato, che hanno retto bene il confronto, insieme a Carlo Giovanardi cera il capogruppo dei senatori Francesco DOnofrio: «Ho chiesto che il presidente del Senato riferisca al capo dello Stato che noi chiediamo non una proroga del Parlamento in carica ma una continuazione dei lavori parlamentari per consentire di votare tutti i decreti legge esistenti e gli altri disegni di legge che sono stati presentati. Non abbiamo chiesto di integrare lordine del giorno - ha sottolineato il capogruppo - ma di approvare lordine del giorno dei lavori esistente».
Tra i sostenitori della linea più «morbida», invece, cerano il ministro Mario Baccini, il segretario e il presidente. Ma è stato comunque una riunione giocata sulle sfumature. La sostanza è che il partito continua il suo gioco di equilibrio sul rasoio, leale al governo come vogliono Giovanardi e DOnofrio, ma anche smarcati dalla linea più ortodossa, come in queste ore si stanno posizionando Casini, Cesa, e Baccini, che gioca sullautonomia la sua partita romana per la poltrona di sindaco di Roma.
Divisioni infinitesimali, nel momento in cui il conflitto si è ricomposto con un non dichiarabile ma sostanziale accordo con il capo dello Stato.
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