L’Ue fa sentire la sua voce sui diritti umani

Rino Cammilleri

Prodi ha detto che in Cina sarebbe andato anche per parlare di diritti umani. Gli crediamo, tanto non costa nulla. Certo, sarebbe stato meglio se, a differenza dell’ex presidente Ciampi in visita, fosse anche entrato nella cattedrale cattolica di Pechino. Ma risulta che, a tutt’oggi, l’unico ad avere avuto il coraggio di un gesto concreto sia stato Bush, che quando è stato a Pechino è andato a seguire la funzione religiosa nella cappella protestante. Naturalmente, i governanti cinesi se ne fregano, sapendo bene che nessun pezzo grosso occidentale oserà mai condizionare al rispetto dei diritti umani gli affari.
Business is business. E tuttavia, una mossa abbastanza controcorrente è venuta da dove meno ce lo saremmo aspettato: dal Parlamento europeo, nel quale per una volta il laicismo e la cristofobia non hanno prevalso. Giovedì 7 settembre, proprio in vista del vertice Cina-Ue che si terrà il 30 ottobre a Pechino, il Parlamento europeo ha approvato con ben trecentocinquantuno voti il cosiddetto «rapporto Belder» che denuncia le violazioni delle libertà fondamentali in Cina, inclusa - è qui la novità - quella religiosa. E non si tratta solo dell’autonomia del popolo tibetano o la setta pacificissima del Falun Gong, ma anche della Chiesa cattolica e del suo diritto di nominare i propri vescovi.
Il rapporto si spinge a chiedere conto dei vescovi, dei preti e di tutti i cristiani incarcerati per il loro credo. Il documento è veramente molto dettagliato e non tralascia nessun aspetto delle relazioni cino-europee, compresa l’attenzione verso le piccole e medie imprese occidentali. Ma sorprende favorevolmente leggervi la richiesta di smettere di tenere oscurato il sito internettiano dell’agenzia missionaria cattolica Asia News, diretta da padre Bernardo Cervellera. Il testo si diffonde anche su temi come la sicurezza sociale, la salute sui luoghi di lavoro, il diritto ai sindacati, chiedendo di osservare le norme dell’Organizzazione mondiale del lavoro sullo sfruttamento dei lavoratori, soprattutto minori e donne. La Risoluzione vera e propria consta di ottantacinque articoli, di cui ben ventisette dedicati al richiamo sui diritti umani (si stigmatizza a chiare lettere l’uso della tortura, il ricorso frequente alla pena di morte, perfino la politica del figlio unico, che in Cina produce, com’è noto, l’aborto selettivo delle femmine).
Ma, come si è accennato, quel che più colpisce in un organo collegiale che finora si è distinto per gli attacchi alla morale cristiana e in particolare cattolica è il riferimento esplicito alla cosiddetta Chiesa Patriottica, di fatto scismatica, con cui la Cina intende creare una chiesa nazionale staccata da Roma. Si sa che il regime permette la pratica religiosa solo a personale riconosciuto dal governo e in luoghi registrati presso l’Ufficio per gli Affari Religiosi. I fedeli cattolici sono stati perciò costretti a entrare in clandestinità e subire persecuzioni. Le due ordinazioni episcopali dell’aprile e maggio scorsi ad opera della cosiddetta Associazione Patriottica hanno scavato un solco ancora più profondo nelle relazioni con la Santa Sede.

Il Parlamento europeo dice che ciò è inaccettabile, e invita la Cina a riprendere il filo del dialogo con Roma. Che finalmente il Parlamento europeo si sia deciso a rappresentare tutti gli europei, anche quelli credenti?

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