Il nome, «Cultoon», potrebbe far pensare a una rete dedicata agli appassionati dell’ormai citatissimo «lato B» e dei film con Nadia Cassini. Ma, anche sul satellite, c’è qualcosa in grado di far schizzare gli ascolti ancora più in alto di quanto garantiscano le commedie all’italiana anni Settanta. E sono i cartoni animati anni Ottanta.
Del resto, è una legge di mercato. A una domanda, corrisponde sempre un’offerta. E la domanda di nostaglia - anche nel settore dei cartoons - è sempre crescente. Cultoon è solo la punta dell’iceberg. Che ha la sua base, sempre più forte, nelle edicole: i dvd di Atlas Ufo Robot vanno a ruba, così come il cliccatissimo sito www.actarus.it; per Heidi, siamo già alla terza iniziativa editoriale autonoma (Sorrisi e canzoni aveva proposto le puntate indispensabili, ora invece è in vendita proprio la serie completa e anche Italia 1 ripropone le sue vicende); Remi sarà stato pure senza famiglia, ma ora ne ha trovato moltissime che lo vogliono accogliere; Capitan Harlock è tornato in dvd con l’intera serie. E, in quest’ultimo caso, probabilmente ha influito il fatto che l’eroe più idealista dello spazio sia considerato uno dei capisaldi della cultura di destra. Titolo nemmeno troppo usurpato se si analizza il pensiero di alcuni che passano per «intellettuali di destra».
Insomma, è il trionfo della nostalgia. Una specie di Anima mia applicata ai fumetti, con Goldrake al posto di Fabio Fazio, la capretta Bianchina al posto dei Cugini di Campagna e la signorina Rottenmeier al posto di Claudio Baglioni, però con meno lifting.
Funziona, funziona benissimo. Da un lato, perchè i cartoni di una volta erano belli; dall’altro perchè quelli di oggi sono brutti. Non è nemmeno la storica questione della superiorità dei fumetti a stelle e strisce e europei su quelli giapponesi, disegnati peggio, visto che anche Goldrake & c. vengono dal Paese del Sol Levante. È proprio che se uno vede Yu-Gi-Oh o i Pokemon, per citarne due che non sono nemmeno i più brutti, viene preso da raffiche di sconforto e di nostaglia per i cartoni di una volta.
Nelle storie di Actarus e Venusia contro Vega ci sono amore e morte, ideali e sacrifici, tradimenti e nobiltà d’animo, come in una versione per minori delle tragedie greche. Per non parlare dell’epica che sta dietro molti episodi di Lupin. Nei cartoni di oggi, spesso, c’è la violenza fine a se stessa, trame più tristi di un reality e personaggi meno carismatici di Prodi. E non c’è niente che riesca a renderli più dolci, nemmeno una canzoncina adeguata: con «si trasforma in un razzo missile, mangia libri di cibernetica, insalate di matematica», ci è cresciuta più di una generazione, idem con le caprette che facevano ciao a Heidi o con le giaculatorie di «olledilediledi Oscar» della grande festa alla corte di Francia. Oggi nulla. Non ci sono più le canzoncine di una volta. Se qualcuno mi avesse detto che avrei rimpianto Cristina D’Avena, l’avrei querelato. La rimpiango.
A questo punto, viene un dubbio. Ma non saremo solo noi - generazione Supergulp, cresciuta a cavallo fra gli anni Settanta e gli Ottanta, con i fumetti in tivù come appuntamento fisso a cena con i formaggini Susanna e al Biancorì in premio - a mitizzare quei cartoni e a svaligiare le edicole che propongono le raccolte dei dvd o a sintonizzarci sugli appositi canali satellitari? Non saremo solo noi a tuffarci nell’operazione nostalgia tentando di rivivere, anche grazie ai cartoni, la nostra giovinezza? Non penseremo che l’alabarda spaziale di Goldrake è più forte delle armi odierne, solo perchè è l’antidoto invincibile contro il nostro spleen per la giovinezza che non c’è più?
Può essere. In parte, sarà così, come è così per ogni mercato che ha la base della sua offerta nella nostalgia. Ma, forse, c’è qualcosa in più. E qui parlo per fatto personale, scusandomi con i lettori se li costringo a farsi un po’ i fatti miei.
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