Spread solo a 101 punti: l'Italia è un porto sicuro

Meloni: "I nostri titoli di Stato sono più affidabili di quelli tedeschi". La Borsa vola al top dal 2007

Spread solo a 101 punti: l'Italia è un porto sicuro
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L'Italia continua a guadagnare terreno sul fronte della fiducia sui mercati. Ieri, il differenziale di rendimento dei Btp decennali italiani con i Bund di pari durata tedeschi è sceso fino a 99 punti base (ha chiuso poi a 101). Al di sotto della soglia psicologica dei 100 punti, toccando il valore minimo da settembre 2021. «Sapete che non ho mai reputato lo spread un totem», è stato il commento della premier Giorgia Meloni, nel corso del question time alla Camera, ma «oggi è sotto i 100 punti», cioè «i titoli di Stato italiani vengono considerati più sicuri dei titoli di Stato tedeschi, penso che una riforma importante che ha fatto questo governo sia stata quella della serietà, della fine delle politiche dei bonus utili per il consenso ma dannosi per economia e lavoratori».

Certo è che, rispetto al 2021, uno spread sotto i 100 punti ha un valore molto maggiore, perché allora i tassi d'interesse della Banca centrale europea erano a zero, se non negativi, e c'erano in vigore i corposi stimoli monetari dell'era Covid. Quando è così, prendere a prestito denaro costa poco o nulla anche per i Paesi più indebitati. Raggiungere quel valore oggi, però, in un contesto dove il tasso sui depositi della banca centrale è al 2,25% e, peraltro, pieno di incertezze causate dalla spada di Damocle dei dazi, significa che l'Italia ha acquisito (o perlomeno ri-acquisito) una grande credibilità sui mercati.

Lo spread, del resto, sta a significare quanto il nostro Paese deve pagare in più, in termini di rendimenti, per ottenere un prestito rispetto alla Germania, il creditore europeo preso come riferimento. Il trend però è da almeno tre anni inesorabile, con i Btp italiani che fanno sempre il pieno perché dotati di un ottimo rapporto tra rischio e rendimento, mentre i Bund perdono terreno sotto i colpi di instabilità politica e un'economia che non cresce più. Basti pensare che, all'insediamento del governo Meloni, lo spread era a 250 punti base nel 2022, oggi è più che dimezzato e può avere ulteriori margini di miglioramento. Sono le conseguenze dirette di una politica accorta sui conti pubblici voluta dalla premier e messa a terra dal ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti. A costo di confrontarsi a muso duro con qualche ministro che avrebbe voluto qualche risorsa in più per il proprio dicastero. Ma non è solo questo, perché il punto è l'aver puntato le poche carte a disposizione su partite come il lavoro (dove si è raggiunto il record di occupati, con riflessi positivi sulle casse dello Stato e sui consumi) e sul recupero del potere d'acquisto con il taglio al cuneo fiscale.

Altri dividendi all'Italia ha portato la forte stabilità politica: in primis, ne ha benficiato la Borsa Italiana (ieri Milano è avanzata dello 0,70%) che ha toccato i massimi dal 2007. Roma è riuscita a non farsi trascinare in recessione dalla Germania e ne ha guadagnato in reputazione rispetto alla Francia degli scossoni politici. Aspetti che hanno la performance sui mercati. «Nello scorso anno l'Italia ha scalato le vette dell'export globale: quarto paese esportatore al mondo in un momento difficile per il commercio mondiale», ha detto il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ricordando i traguardi raggiunti. «Sempre nel 2024 gli investimenti esteri in Italia sono cresciuti a 35 miliardi di euro».

Non a caso, con una crescita del Pil che ha tenuto, sono arrivate le promozioni delle agenzie di rating, non a caso S&P (non sospettabile di simpatie italiane) ha di recente alzato il merito di credito dell'Italia (a BBB+).

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