VeneziaUna cenetta al lume di candela, vista Canal Grande, tipo «Venezia, la luna e tu». Già, ma quanto mi costa? Una manciata di euro, mance comprese. La crisi ha intenerito i cuori dei ristoratori veneziani? No, sostengono questi ultimi, piuttosto per troppi baristi è carnevale tutto lanno e si divertono a festeggiarlo come si deve mettendo la maschera, guarda un po, dei medesimi ristoratori veneziani. Insomma, ormai in laguna è impossibile distinguere i bar dai ristoranti, dal momento che un piatto di spaghetti alle vongole riesci a gustarlo anche in quel localino gestito dallultimo cinese arrivato facendo il percorso inverso di Marco Polo. Morale della favola, i ristoratori veri si sono stufati e oggi pomeriggio si ritroveranno in un sit-in di protesta davanti alla sede Ascom di Venezia a San Polo.
«Ricordo a tutti gli amici ristoratori (ma anche baristi) di Venezia che è molto importante essere numerosi - scriveva uno degli organizzatori ieri su Facebook - perché questa è lunica chance che abbiamo per farci ascoltare».
La protesta, in realtà, non è molto popolare tra turisti e clienti. Chi non vorrebbe cenare per pochi euro in un incanto di città come Venezia tristemente famosa per i pesantissimi conti dei suoi ristoranti? Ora, a parte il fatto che anche i bar non è che siano troppo leggeri, la verità, secondo gli organizzatori della manifestazione, è che siamo di fronte a un tipico caso di concorrenza sleale e, in più, dannosa per la saluta del consumatore gabbato con lo specchietto dei bassi costi.
Nei bar, o nei «bacari», come li chiamano da queste parti, infuria la moda dello spaghettino veloce, roba da 6/7 euro a piatto. Mettici una birretta, e con 10 euro te la cavi. E la «tassa-Venezia»? Macché tassa, sbottano i ristoratori autoconvocatisi davanti allAscom, la verità è che noi seguiamo le regole, serviamo cibi freschi, li cuciniamo a regola darte e la salute, oltre che il palato, del cliente è garantita. E i baristi che fanno di male? Per capirlo bisogna leggere il manifesto dei ristoratori veneziani: «Il mercato oggi offre di tutto - scrivono - con menù fotografici privi di diciture corrette e cartelli che erroneamente identificano i bar come ristoranti, come se un forno a microonde fosse la stessa cosa di una cucina che serve piatti preparati da personale qualificato e non precotti. È una questione di comunicazione, ma anche di rispetto della legge in vigore, pur nellallargarsi a macchia dolio del libero mercato con la legge Bersani e una legge regionale sulla distribuzione, quanto mai discutibile. La norma prevede la somministrazione di alcuni alimenti nei bar, ma solo in quelli in possesso di regolare autorizzazione sanitaria: è osservata solo da una minoranza dei bar, che di fronte a una vigilanza incurante servono di tutto».
Riassumendo: guerra ai bar che vendono cibo senza averne licenza e richiesta di esporre avvisi ad hoc per gli esercizi che hanno la licenza ma non aiutano il cliente a capire cosa effettivamente sta mangiando. Cè pure qualcuno che gioca pure sulla pizza, piatto italico per eccellenza, spacciato per originale e invece taroccato con un succedaneo surgelato. Nulla di male se hai la licenza, dicono ai baristi i ristoratori incavolati, ma almeno esponi un cartello spiegando al malcapitato cosa si butta in pancia. Seguono due inviti: uno alla Regione affinché riveda la legge e faccia chiarezza in materia; e laltro alle associazioni di categoria, che tra gli iscritti hanno baristi e ristoratori, perché si incarichino di far rispettare le norme vigenti in materia di autorizzazioni igienico-sanitarie sulla somministrazione di cibi precotti.
Colpa anche di Venezia, per la verità, che mixata alla luna birichina e al lume di candela, ti fa sembrare una prelibatezza anche una zuppa di pesce scongelata dal microonde sparato a palla. Ma Venezia è solo un punto di partenza. La protesta, pare, è destinata ad estendersi anche in altre città italiane.
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