Roma

L’ultima missione (scortata da mamma e papà)

Uno scompartimento di un vecchio treno con sedili di legno, messo in mezzo al palcoscenico vuoto, come sospeso in un nulla significativo, è il luogo in cui si svolge La casa di Ramallah di Antonio Tarantino nella messinscena firmata da Antonio Calenda, in scena in questi giorni al teatro India. Protagonisti Giorgio Albertazzi, Marina Confalone e la giovane Deniz Ozdogan. La vicenda ci porta nel cuore della tragedia palestinese, su un treno interregionale con un padre anziano e brontolone e una madre che ha riempito la borsa di fagotti e cibarie per la figlia ventenne. Un po’ inveiscono e sono ossessionati tutti dal Mossad e dallo Shin Bet, i servizi israeliani, un po’ si perdono dietro i ricordi e la ragazza, come accade alla sua età, provoca e rimprovera i genitori. Una situazione di normalità, pare una gita, ma pian piano tutto quel parlare, confrontarsi e discutere, riferirsi all’Organizzazione cui appartengono li spinge a ripetere le stesse cose, a fissarsi sul percorso e le fermate del treno per la necessità di colmare un’ansia: la ragazza sta andando a compiere la sua azione suicida di morte in un supermercato israeliano e sono proprio i genitori a aiutarla a mettersi le cariche sul corpo. Allora tutto acquista un’altra prospettiva, si svela un desiderio-bisogno di cercar di giustificare quel che sta avvenendo, di ancorarsi al ricordo delle distruzioni, le rappresaglie, i bombardamenti, le case rase. Questo quadro familiare rivela una storia di miseria, di povertà, di sopravvivenza in un mondo confuso, in cui tutto si confonde. Tutti appaiono pedine di giochi più grandi, in un susseguirsi di costrizioni, psicologiche e materiali, in cui l’individuo e la sua umanità non hanno più valore. Si arriva così al momento supremo, quando la ragazza tentennerà, l’Organizzazione tarderà qualche minuto a far squillare il telefonino e il finale è a sorpresa, mentre Calenda sull’esplosione, nel silenzio, fa simbolicamente e letteralmente volare gli stracci per tutto il palcoscenico. Uno spettacolo che, sostenuto dalla lingua ossessiva, ansiosa, ricca di piccole invenzioni di Tarantino, ci riguarda da vicino, grazie anche all’umanità di un Albertazzi burbero, orgoglioso, una Marina Confalone tenera e altera, e la Ozdogan rabbiosa e insicura assieme.


Fino al 16 maggio.

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