Alle 16.30 Bob, la Sami, la Gianna, il Sebbo sono i primi ad arrivare. Si trascinano fino allo spiazzo d’ombra nell’angolo accanto alla chiesa e scaricano il bottino sul prato. Una cassa piena di lattine di birra comprate al super poco più in là e nello zaino il resto. L’ultima notte di sballo per gli under 16 comincia poco dopo pranzo, sotto un sole che spacca le pietre e ti stordisce ancor prima di aver bevuto un sorso di alcol. Milano, Colonne di San Lorenzo: è qui che ogni sabato pomeriggio i ragazzini si ritrovano per ubriacarsi fino a non poterne più. Dark, punk, emo, brutal, sceneking o scenequeen a seconda che siano maschi o femmine e della musica che si infilano nelle orecchie. Il look lo si sceglie così. «Dipende da come ci vestiamo. Ci sono anche i "poser", quelli che sono di uno stile ma in realtà stanno sempre in posa». Già, i poser. E chi li ha mai sentiti. Dunque, dicevamo. L’ultimo weekend di trasgressione prima che entri in vigore il divieto per i minori di sedici anni di bere alcolici ha il ritmo di una festa per ragazzini delle medie. Per i più piccoli, il tempo a disposizione per sbronzarsi è una manciata di ore, non di più. Poi scatta il coprifuoco. Verso le sette di sera li vedi mentre raccattano la borsa da terra e si trascinano alla prima fermata della metropolitana, barcollando. Tirano l’ultima boccata di sigaretta e poi abbandonano il branco. «Ma loro sono quelli sfigati. Di undici o dodici anni. Noi siamo più grandi e possiamo stare fuori fino a tardi». Alice di anni ne ha quattordici appena compiuti eppure si sente una donna rispetto alle altre. Ha un paio di pantaloncini cortissimi, una magliettina con l’ombelico di fuori e un ciondolo con un plettro di una chitarra che le penzola al collo. Vengono qui ogni settimana insieme al resto del gruppo e poi decidono cosa fare. Del divieto non hanno nemmeno sentito parlare. «Cosa vuole che serva? Tanto basta andare al supermercato per comprare da bere». Ma anche lì ci saranno i controlli. Alice alza le spalle e sputa in terra. «Ho tanta saliva perché fumo e poi, se bevi a casa come fanno a beccarti?». E casa significa Baggio, Novate, ma anche via Moscova e Arco della pace. Il popolo del pomeriggio arriva da ogni parte e zona della città, figli di avvocati, di insegnanti, cassiere, meccanici o operai. Non esistono classi sociali nel branco, l’unica cosa che conta è farne parte. «Ci siamo conosciuti tutti qui, ognuno di noi ha un soprannome». Si sentono una famiglia. Bianca è del ’96, gli occhi truccati di nero, i capelli viola e due, tre piercing che le bucano il viso. Quello al naso lo nasconde infilandoselo nelle narici. «Per non farlo vedere a casa». Un pezzo di stoffa rossa le avvolge il polso, le serve per nascondere i «buchi», poi scopre la pelle bianca per far vedere che in realtà è tutto a posto. Ma i genitori lo sanno che venite qui a bere ogni sabato? «Certo. Loro alla nostra età erano peggio di noi. A mia mamma oggi ho detto che andavo fuori e che poi l’avrei chiamata per dirle se tornavo o no». A tredici anni, giurano, il rapporto con mamma è papà è tutta una questione di fiducia. «Loro sanno che fumo. E al massimo, mi dicono di farmi solo un cuba».
Jack ha due cerchi trasparenti nelle orecchie che gli allargano i lobi. «L’alcol? Dipende da come lo vivi. Dall’uso che ne fai. Io ad esempio non bevo più. Mi sono spaccato troppo. Sì, cioè mi hanno fatto gli esami del sangue e stavo troppo male».
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