RomaAnnozero vive. Addio Annozero. Nella convulsa giornata di ieri cè una verità ufficiale fatta di tira e molla, ricatti, show di Santoro e rassicurazioni di Garimberti: Michele tornerà a settembre. Poi ce nè unaltra, ufficiosa, che fa apparire la prima come teatrino: Michele avrebbe già firmato la separazione consensuale, a suon di milioni di euro. Un accordo che aspetta solo la ratifica del consiglio damministrazione di viale Mazzini, teatro ieri di uno spumeggiante spettacolo del giornalista vocato al martirio.
Parte con una sorta di ricatto a 360 gradi, Santoro. Si autoproclama caso nazionale e minaccia tutti: dai vertici Rai ai partiti; dal presidente di garanzia Paolo Garimberti al leader del Pd, Pierluigi Bersani. Forte del preaccordo di separazione per lui decisamente vantaggioso - che i ben informati dicono ormai siglato -, in una pirotecnica conferenza stampa attacca tutto e tutti e mette sotto scacco lazienda: «La Rai si presenti davanti alle telecamere e si assuma le proprie responsabilità. Dica meglio non fare Annozero, faremo altro e vedremo se questo altro è morale». Inchioda il presidente: «Garimberti dica chiaro e tondo se dobbiamo andare in onda o no. Togliete tutte le cause pendenti e io torno. Se non ce la fate, e non ce la farete, lasciatemi libero».
Passa qualche ora e Garimberti, strattonato, scende in campo: «Annozero può cominciare - dice in una nota -. Ci metto la faccia come ho sempre fatto e sempre farò nella mia vita professionale». Ma cè un «ma» grande come una casa: «Va necessariamente chiarito - dice Garimberti - che il presidente non ha aziendalmente il potere di prendere da solo le decisioni che riguardano Annozero». Appunto. Basterà la buona intenzione? Michele sembra soddisfatto: «Il presidente spenga il cerino e accenda la tv: torniamo a settembre. Le chiacchiere stanno a zero, anzi ad Annozero».
Invece no. La trattativa continua tutta la notte e le chiacchiere proseguiranno. Di chiacchiere, in mattinata, ne sono volate molte, con Santoro mattatore. Il direttore di Raidue Massimo Liofredi, al suo fianco, infilzato dalla selva di cronisti: «Allora, Santoro lo volete?». E lui a riconoscere che Michele ha fatto il botto di ascolti ma «il caso è sul tavolo dellazienda. Ci sono trattative in corso... ». Santoro non infierisce su di lui: «Il problema non è Liofredi che è solo un albero. Il problema è la foresta». E la foresta è la politica. I piani alti di viale Mazzini? Macchè, oltre. Più su. Per Santoro a occuparsi di Santoro deve essere il potere con la «P» maiuscola. Più tardi ammette: «Queste cose non si fanno se non vengono coinvolti i livelli giusti di questo Paese, va bene? Non è un problema né di Santoro né di Masi», parla in terza persona. Ammette che Garimberti è soltanto la fine dellimbuto però lo incalza: «Dice che la firma dipende solo da me? Non è vero. Non sono io che devo decidere ma loro».
Qualcuno di «loro» è in sala. Per esempio i due consiglieri damministrazione Rai in quota opposizione Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten. Santoro ce lha pure coi due. Anzi, soprattutto coi due: «Ma esiste il Pd? Possono parlare il linguaggio della verità? Bersani dice di sì: lo faccia allora». Michele vorrebbe che tutta lopposizione si stracciasse le vesti a difesa sua; che lo innalzasse a totem della libertà di stampa e di pensiero. Cosa che non è accaduta. «Hanno un atteggiamento pilatesco, la sinistra non si batte per farmi rimanere», si lamenta Santoro che si dipinge vittima di «mobbing, violenza, chiamatela come volete».
Michele pretende lazienda in ginocchio da sé: «Se no la chiudo qua». Sulla base di un accordo che Santoro avrebbe già in tasca: non più dipendente ma collaboratore; cinque dirette ogni anno per due stagioni, più due film (non docu-fiction); un milione a puntata più una liquidazione da quasi due milioni e mezzo di euro.
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