L’ultima sul fisco: con un clic sul mouse cancellano le tasse

Palermo, blitz della Finanza: cinque impiegati dell’Agenzia delle Entrate in manette per truffa. Eliminavano le imposte dei «clienti» in cambio del 30% della somma non versata

da Palermo

I commercialisti? Troppo costosi e poco efficaci. Niente di meglio, per evitare il salasso delle tasse, che allearsi direttamente col nemico: in questo caso, l’Agenzia delle entrate. A Palermo ci hanno pensato, e ora 15 persone, tra le quali cinque impiegati dell’erario, sono agli arresti: per anni hanno cancellato i debiti di oltre quattrocento contribuenti, incassando per il servizio il 30 per cento di quanto il «cliente» avrebbe dovuto pagare. Il danno così provocato alle casse dello Stato ammonterebbe a oltre un milione e settecentomila euro. Un’operazione, spiegano i militari della finanza, andata avanti dal gennaio del 2003 sino al giugno del 2005. Per tutti gli indagati l’accusa è di falso ideologico aggravato in atto pubblico, frode informatica e accesso fraudolento al sistema informatico. Sistema informatico che, nell’ultima settimana, ha rappresentato una vera spina nel fianco dell’Agenzia erariale.
Di fronte a quest’ennesimo scandalo, c’è da augurarsi infatti che prima o poi negli uffici dell’Agenzia delle Entrate a qualcuno venga in mente di leggere un manuale di informatica; neanche qualcosa di troppo avanzato, basterebbe un testo base. Chissà che così non si eviti un’altra ondata di figuracce e polemiche come quella che dal 30 aprile scorso ha scosso le fondamenta (evidentemente fragili) del binomio Agenzia-tecnologia. Fermo restando che per abbattere tempi e costi la pubblica amministrazione deve proseguire il processo di informatizzazione, sarà però il caso che qualcuno gli spieghi prima come fare.
Il 30 aprile scorso, infatti, l’Agenzia pubblica i redditi di 38 milioni di contribuenti italiani. Subito esplode il caos. «La diffusione dei dati reddituali con modalità telematica - commenta forbito Massimo Romano, direttore dell’Agenzia - costituisce un elemento di garanzia, trasparenza e affidabilità». Sul fronte garanzia ci ha pensato il Garante della privacy a far capire a Romano come stanno le cose, bloccando la diffusione dei dati; posizione in seguito rimarcata da tre procure, che sul caso hanno aperto altrettante inchieste. Di trasparenza poi si sono perse le tracce nell’istante in cui i dati dei redditi hanno generato un mercato nero on line: è tutt’ora possibile comprare a pochi euro, su siti nati ad hoc, le dichiarazioni dei redditi degli italiani.
L’affidabilità, infine, si è fatta vedere quando il sito web dell’Agenzia delle entrate è collassato nel giro di poche ore, sopraffatto dall’assalto di milioni di accessi. Ieri, quest’ultima batosta. La Guardia di finanza (e loro sì che con i pc ci sanno lavorare), al termine dell’operazione denominata «Front Office», porta alla luce la truffa compiuta attraverso lo stesso sistema informatico dell’Agenzia: un attacco da parte degli hacker, i pericolosissimi pirati dell’universo digitale? No. Semplicemente un manipolo di impiegati che rubava le password a ignari vicini di scrivania. Niente scantinati zeppi di avveniristici computer, dunque.

La minaccia all’integrità dei granitici sistemi informatici dell’Agenzia è arrivata da persone con l’occhio lungo. In fondo può capitare, vien da pensare, che qualcuno riesca a farla franca pasticciando il sistema telematico interno; ma non per tre anni di seguito.

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