Politica

L’ultimo Indiana Jones del giornalismo in viaggio da 95 anni

Un ragazzo di questo tempo faticherà a crederlo, ma navigare non è sempre stato sedersi davanti a un computer, in un angolo solitario della propria camera. In epoche remote, navigare significava partire, viaggiare, scoprire, conoscere, crescere. Ci sono uomini che hanno frequentato questa particolarissima università itinerante per tutta la vita, senza stancarsi mai di imparare. Uno di loro, di questi ragazzi on the road che hanno frugato nelle pieghe del mondo e ne hanno poi raccontato su libri e giornali, compie oggi 95 anni. Si chiama Lino Pellegrini: i lettori meno giovani di questo e di altri giornali lo conoscono per i suoi reportage, quando il reportage era il reportage.
Nativo di Paese, nel Trevigiano, ora si divide tra la sua casa di Milano e il suo verde rifugio a Crespano del Grappa. Elena, l'adorata moglie che l'ha accompagnato sempre e ovunque, anche nei viaggi più tumultuosi, ha deciso di partire da sola tre anni fa, per l'ultimo viaggio solitario e senza ritorno. Lino, adesso, se la tiene nel cuore e immagina un altro futuro insieme, nell'unico viaggio senza pericoli, senza meta, senza fine. Quando il Cielo lo vorrà. In queste ore di compleanno record però non è solo: con lui, i figli Daniele e Marina, oltre ad un vagone di ricordi che scaldano la giornata.
É il caso di raccontarla, questa bella storia di curiosità e conoscenza. Dedicata a tutti quelli ormai convinti che il mondo sia stipato dentro a un video, a portata di mano e di clic, come una massa indistinta senza colori e senza odori. Dedicata a tutti quelli che ormai navigano solo a testa bassa.
Lino, tanto per cominciare: come si diventa nomadi della scrittura? «Già mio padre era scrittore, io volevo seguirne le orme. Ma non avevo ben chiaro come. Nell'agosto del '39, a 24 anni, mi trovo nell'estremo nord della Finlandia, in un fiordo sull'oceano Artico. Casualmente trovo un peschereccio italiano, "Il Tonno", però impegnato a cercare merluzzi. Chiedo di imbarcarmi: così, per il gusto di provare. I pescatori mi accolgono, salpiamo in alto mare, ma dopo pochi giorni scoppia la guerra. Non sappiamo che fare. Ad un certo punto sbarco in Norvegia, quindi proseguo per Helsinki, quindi ancora fino a Leningrado. Qui, sulla pubblica piazza, ascolto un "grande capo" che annuncia alla folla la guerra alla Polonia... Comincia così la mia carriera. Quando torno in Italia, pubblico i primi servizi. Il Popolo d'Italia mi chiama e mi assume. Nel '40 sono già a Rodi, inviato di guerra sui sommergibili e sugli aerei. Di questi esordi ricordo nitidamente lo scoppio di una cannonata della marina britannica proprio sotto il nostro apparecchio, mentre sorvoliamo le loro navi...».
Nel furore bellico che sconvolge la terra, non si spengono le ragioni del cuore. Lino conserva ancora la stessa tenerezza d'allora, quando racconta l'avventura più bella: «Un giorno mi decido: chiedo al comando di tornare da Rodi in Italia per sposarmi. Mi guardano un po' così, ma ho pur sempre acquisito qualche merito. Mi accontentano. Elena mi aspetta a Milano. Prima di arrivare da lei, un giro del mondo: decollo a Rodi, atterraggio a Bengasi per evitare la nemica Grecia, quindi via per Ostia, infine Milano. Quando mi vede, Elena fatica a credere. Raccogliamo le nostre cose e ci spostiamo a Selva di Valgardena, dove ci eravano conosciuti, e dove torniamo per l'altare. É la fine del durissimo viaggio nuziale, ma è solo l'inizio di un altro interminabile viaggio, esistenziale e goegrafico, che non ci vedrà mai separati».
Elena, la donna della vita. Ma non solo. C'è un altro compagno d'avventura molto particolare che Lino Pellegrini si porta nella memoria: il collega Curzio Malaparte, l'autore de «La Pelle» e «Kaputt», uno dei grandi del Novecento, forse un po' meno grande per la sola colpa di non essere schierato dalla parte giusta. «La prima volta incontro Curzio a Sofia, durante la guerra. Con lui decidiamo di proseguire da Bucarest verso la Russia. Nella piccola città di Jasci, al confine, si scatena il finimondo. É caccia all'ebreo. Ricordo che un giorno mi ritrovo a urlare in faccia al capo della polizia locale una frase terribile: "Lei è un assassino di ebrei!». Rischio tantissimo, Malaparte ne parla in Kaputt. Ma forse la mia rabbia è più forte della loro ferocia. Stranamente, il capo della polizia tace e prosegue fingendo di nulla».
La cosa curiosa è che Malaparte si affida a Pellegrini anche come interprete per la lingua tedesca, mentre avanzano affiancati alle colonne germaniche: «Incredibile: Kurt Erich Suckert, questo il suo vero nome, era figlio di madre italiana e di padre tedesco, ma non spiccicava una parola in tedesco. O forse non voleva pronunciarne un solo vocabolo...».
E poi l'assedio di Leningrado, e poi il traferimento in Spagna. Sempre ficcando il naso nella grande storia, sempre raccontando a chi non può vedere. Tutto finisce il 25 luglio 1943, con la fine del governo Mussolini. «Il popolo d'Italia» chiude e Pellegrini resta disoccupato. Ma per poco. Forse, proprio lì comincia l'avventura più vera. Soprattutto, più libera. Nel Dopoguerra, Lino e la sua Elena diventano viaggiatori fino al livello mistico. L'esistenza diventa romanzo. Realista, senza un aggettivo inventato. In macchina da Milano a Calcutta, attraverso Afganistan e Pakistan, quando la macchina non era il gippone superaccesoriato dei raid sponsorizzati. Nel '64, in «Campagnola» da Milano ad Addis Abeba: «Un giorno, per aggirare un territorio alluvionato, chiedo al prefetto sudanese di caricare la Campagnola sul treno. Lui guarda me, guarda Elena, poi dice sì, si può fare, tu porti la macchina sul treno e io mi porto Elena dove dico io per una notte. Ovviamente l'affare non viene concluso...». Nel '66 l'attraversamento dell'Africa in fuoristrada, da Tripoli a Lagos, sfidando tutto il Sahara: «Il Sahara? Follia, seduzione, giorni roventi e notti glaciali. A questa attraversata la Domenica del corriere dedicherà 14 pagine e una stupenda copertina, che ancora conservo». Un'altra volta, Lino ed Elena si immergono al largo di Massaua per ritrovare il relitto del cacciatorpediniere «Nullo», affondato durante la guerra dagli inglesi. Lo localizzano e portano in superficie i resti di quella storia. «Epoca pubblicò lo scoop, Elena divenne Cavaliere della repubblica e io Grand'ufficiale». E ancora, come un elenco telefonico: Alaska, Antartide, Siberia. E Maldive, prima che ci arrivassero anche i droghieri della Ciociaria e piastrellisti di Brescia. E Galapagos, prima, molto prima che arrivasse Licia Colò.
Inarrestabile, indomabile, inenarrabile Lino Pellegrini. Ha volato nei cieli più alti e si è immerso nelle profondità più abissali. Ha incontrato eskimesi e mongoli, tuareg e vatussi. Ha conosciuto tanti uomini, ha conosciuto l'uomo.
Un articolo d'auguri non può contenere tutta una vita, tanto meno può contenere 95 anni come questi. Però può esprimere tutto l'affetto e tutta l'invidia per un tempo speso così bene. Lino, fra 95 anni ci rivedremo per ascoltare ad occhi spalancati la seconda parte del lungo viaggio. Sia generoso: tagliando la torta, faccia lei un regalo a chi la festeggia. «É l'unica convinzione che ho maturato, vagando senza soste e senza riposo: viva la vita».

Dedicato a chi non sa più cosa significhi navigare davvero.

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