L’ultimo match point dell’armatore-tennista

L’ultimo match point dell’armatore-tennista

Ha perso il match point, a 70 anni, per via d’un male incurabile, dopo aver vinto molto, nella sua vita di appassionato dirigente e praticante tennista, ma soprattutto in quella - a tutti gli effetti la principale - di protagonista dello shipping e della finanza. Giorgio Messina se n’è andato giovedì, abbandonando il timone dell’azienda che condivideva con i fratelli Gianfranco e Paolo e con la terza generazione: un equipaggio che, forgiato dall’esempio del capostipite Ignazio, s’è mantenuto compatto e solidale, nella bonaccia e in mezzo ai marosi. In questa lunga navigazione, che ha portato la «Ignazio Messina & C.» a consolidarsi come la seconda compagnia armatoriale al mondo nel settore ro-ro (roll on-roll off, come dire: carichi su ruote, camion, vagoni ferroviari, imbarcati e sbarcati dagli scivoli anziché dalle gru come le navi standard), Giorgio ha seguito in particolare il versante tecnico, perfettamente consono a uno come lui che si era laureato in ingegneria navale e aveva fatto un’intensa esperienza alla Fiat Grandi Motori. Ma era stato dichiarato «abile», eccome, anche a occuparsi di finanza, tanto da costruire e far prosperare la Finemme, la holding di famiglia. Tutto questo senza trascurare le «grandi passioni», il tennis, appunto, e i colori rossoblù, da genoano verace, tanto da contagiare inguaribilmente figli e nipoti. Nel frattempo, la «Ignazio Messina» ampliava la flotta, moltiplicava le rotte e si affermava nella gestione dei terminal. Mantenendo il cuore a Genova, anche nei tempi in cui la mancanza di spazi sotto la Lanterna aveva suggerito una trasferta temporanea a La Spezia. Un ricordo personale: chi scrive gli chiese (e ottenne) un giorno di imbarcarsi su una delle navi della «casa», per poter capire di mare, porti e container più di quanto s’impara seduti alla scrivania. Mi rispose: «Il tratto più lungo è Genova-Durban, Sudafrica.

Lo fa la Jolly Verde, il comandante è Poletti. Se va bene a lui, vada pure. Ma se lui decide di sbarcarla a Napoli...». L’armatore «subordinato» al comandante della nave. Indimenticabile. Lezione di vita. E di saggezza.

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