Non lascia il tavolo ma «la trattativa si è esaurita», rompe con Cisl e Uil ma rilancia la proposta unitaria, non vuole la scala mobile ma una completa indicizzazione dei salari, auspica la contrattazione aziendale ma senza uno spazio per renderla possibile. Guglielmo Epifani è gentile nella rottura, diverso dal predecessore Sergio Cofferati che dava del traditore a Savino Pezzotta, ma alla fine esaspera i colleghi di Cisl e di Uil. Ora sta buttando per aria l’accordo su cui si lavorava da tre mesi con Confindustria per nuove regole di contrattazione: si erano concordati un metodo per calcolare l’inflazione (più pesante di quella «programmata» dal governo), una compensazione salariale per chi è privo di contrattazione integrativa, e regole per accordi aziendali che collegati a interventi di defiscalizzazione di straordinari e premi già sperimentati dal governo, portavano un bel po’ di soldi. Ma il signor «ni» si è ritratto, anche se non del tutto. Prima c’era stata l’Alitalia, quando era tornato a firmare dopo avere ottenuto la «strepitosa vittoria» di spostare l’orario notturno dei dipendenti dalle 24 alle 20. E naturalmente dopo il via libera da Walter Veltroni. Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti sono esasperati: già sull’Alitalia si era persa l’occasione di dimostrare il senso di responsabilità nazionale delle grandi confederazioni. Ora politicizzando la trattativa con Emma Marcegaglia, Epifani finisce per mandare all’aria un sistema di contrattazione che consente ai lavoratori di essere protagonisti della nuova fase dell’economia. Non è impossibile perciò che si vada ad accordi separati. Non un’«intesa generale» che richiede tutti i maggiori protagonisti, ma un accordo quadro che finirà per generare miriadi di accordi nazionali e locali separati. Il che naturalmente è meglio della stasi di oggi.
Perché questo risultato? Pesano gli elementi strutturali. Non c’è più la produzione industriale che permetteva un sindacato di massa, centralistico ed egualitaristico come la Cgil degli anni Settanta. Cofferati, dopo un passato da innovatore, non solo non era stato capace di cambiare la sua confederazione ma era stato preso da una furia massimalista e si era lanciato in lotte senza sbocco, alla fine delle quali ha lasciato un erede debole incapace di proseguire sia nelle «lotte» sia di scegliere il rinnovamento.
Un esito simile a quello dei Pci-Pds-Ds-Pd con un leader come Veltroni che è innovatore «ma anche» conservatore, vuole il dialogo «ma anche» la rottura, è riformista «ma anche» radicale. Succede nelle formazioni economico-sociali, nei partiti, nei sindacati, quando non c’è reale rapporto tra base e leadership, decollano nomenklature esposte a tutti i venti.
L’accoppiata Epifani-Veltroni, l’asse degli «inesistenti», è una realtà di questo tipo. Veltroni si è portato in Parlamento i sindacalisti con più carattere (Achille Passoni e Paolo Nerozzi), Epifani ha pensato che fosse l’ora di dominare la Cgil e si è fatto una segreteria di abatini. Per ottenere l’obiettivo, ha diviso l’ala sinistra della Cgil, centrata su pubblico impiego e metalmeccanici, costruendo un’alleanza senza anima tra ali estremista e riformista. Naturalmente, poi, i due segmenti «di sinistra» si sono ricomposti e oggi mandano all’aria l’accordo con Confindustria.
Nella vicenda pesa, peraltro, un orientamento di settori confindustriali espressione della grandissima impresa che non vedono male un contratto nazionale con un salario mediocre per i dipendenti e il rinvio di una contrattazione aziendale piena di rogne. Certi interventi di opinionisti «liberal» pro Epifani vanno letti in questo quadro.
E adesso? Forse Sor Tentenna Epifani tornerà sui suoi passi. Altrimenti è probabile che Confindustria, Cisl e Uil vadano per la loro strada. La Cgil sventolerà allora il ricatto di un pubblico impiego che può provocare fastidi ai cittadini.
Lodovico Festa
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.