L’ultimo scoop dei media è la metafisica del lato B

Prima Ostellino, poi Ferrara e infine Sofri: la storia del gentil sesso riletta a partire dal fondoschiena. E' una vera ossessione

L’ultimo scoop dei media  
è la metafisica del lato B

Quando entrano in scena i grossi calibri, c’è sempre da imparare. Ha cominciato Piero Ostellino, discettando sul didietro sopra il quale, consapevolmente, siede la fortuna delle donne. Gli ha fatto seguito Giuliano Ferrara, che dello stesso ha dato una versione al maschile, ripresa da Montaigne. Ha chiuso il cerchio Adriano Sofri, nel nome di un evoluzionismo corretto dal marxismo, per il quale, pur discendendo come esseri umani dalle scimmie, quando queste vogliono volare alto è sempre quel fondo schiena che fanno vedere e, si sa, non è un bello spettacolo... Siamo insomma, con licenza parlando, alla metafisica del culo, ovvero alla eterogenesi delle natiche: si sa da dove si parte, ma non si sa dove si va a finire.
Dice Sofri che la citazione di Ostellino è inesatta, perché di quella fortuna il sesso femminile sarebbe inconsapevole: sono gli uomini a dare a essa una chiave di lettura consapevole e quindi maschilista. Avrà anche ragione, ma non ci giureremmo: ci sembra più maschilista l’idea che la donna sia semplicemente il riflesso del pensiero maschile di quella che le consente un uso ragionato del proprio corpo. Se Sofri pensa ancora che il maschio sia cacciatore e la femmina selvaggina, non è messo bene.
Intorno a Ostellino si è scatenato un putiferio corrieristico di cui il lettore sa già tutto. L’ex direttore del quotidiano di via Solferino ha risposto alle critiche da par suo, citando fra l’altro Machiavelli, gran demitizzatore della retorica e del moralismo. Già che ci siamo, vale la pena di ricordare quel passo delle Lettere in cui scriveva: «Et ogni dì siamo in casa di qualche fanciulla per rihavere le forze, et pure hieri stemo a vedere passare la processione in casa la Sandra di Pero; et così andiamo temporeggiando su queste universali felicità, godendoci questo resto della vita, che me la pare sognare». Oppure quest’altro: «La Barbera si trova costì: dove voi gli possiate far piacere, io ve la raccomando, perché la mi dà molto più da pensare che lo imperadore». Vi ricorda qualcuno? Se indovinate, vincete un abbonamento a Repubblica.
E Montaigne? Fra le tantissime persone più intelligenti di me che conosco, Giuliano Ferrara è, con Alain de Benoist e Paolo Isotta, la più intelligente, e quindi l’utilizzo da lui fatto del principe del pensiero morale e libertino è stato perfetto: alto nella scelta del nome, terreno nella semplicità del voler dire che poi siamo un impasto di fango e di stelle. E quindi, certo: «Anche sul più alto trono del mondo, non siamo seduti che sul nostro culo». Ma vale la pena ricordare che il filosofo francese era anche un odiatore dell’austerità: «Fuggo la durezza dei costumi, avendo in sospetto ogni cipiglio arcigno. Io aborro uno spirito irritabile e triste, che scivola sopra ai piaceri della vita e si aggrappa e si pasce alle sventure. La peggiore delle mie azioni e qualità non mi sembra tanto brutta quanto trovo brutta e vile il non osare confessarla». Vi ricorda qualcuno? Se indovinante vincete un libro di Scalfari.
Montaigne è anche un antidoto eccellente sull’amore e la vecchiaia, che oggi vede tanti crociati della castità accanirsi sull’indecenza del sesso senile: sono gli stessi che hanno riempito sino al giorno prima le pagine dei giornali sulla vita che comincia a sessanta, ma no, a settanta, ma che dico, a ottant’anni e sulla bellezza della canizie fra le lenzuola, ma, si sa, il giornalismo è una bandiera che gira secondo il vento... Scriveva dunque Montaigne: «Certo, è giusto, come dicono, che il corpo non segua i suoi appetiti a danno dello spirito; ma perché non è altrettanto giusto che lo spirito non segua i suoi a danno del corpo? L’amore mi renderebbe la sobrietà, la grazia, la cura della mia persona, renderebbe più fermo il mio sembiante, in modo che le grinze della vecchiaia, queste grinze deformi e miserevoli, non venissero a corromperlo». Vi ricorda qualcuno? Se indovinate, vincete un viaggio con Santoro.
Scrive nel suo articolo Sofri che lui adesso sta «dalla parte delle scimmie. Gli uomini spinti troppo in alto, è ora che scendano». È un proposito nobile, ma anche se ogni scarrafone, secondo il proverbio napoletano, è bello per la propria madre, non è detto che ogni culo sia eguale all’altro, femminile o maschile che sia (preferiamo il primo, ma siamo per la libertà di pensiero). Sofri del resto è consapevole che la frase da lui citata del filosofo postmoderno Stefano Ricucci, «fare il frocio con il culo degli altri», abbia una sua pregnanza ideologico-politica e che quella, sempre da lui citata, di Ruby rubacuori, l’Ipazia del XXI secolo, «lei è la pupilla, io sono il culo», sia una metafora di alto valore. La cassazione in materia resta un romanzo di Patrick Grainville, già premio Goncourt, che si intitola Il paradiso degli uragani: «Dunque io ti saluto, o culo, mausoleo dei miei sospiri. Ti celebro nella tua innata bontà, la tua ebetudine, quella sfida di innocenza.

Ma anche per le tue segrete malizie, bordello e barca pura. Io vi saluto o natiche, anfore colme d’oro, continenti separati e congiunti da profondi legami oceanici, galassie sorelle luminose». Un’opera d’arte della natura, non il didietro di un babuino.

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