Cultura e Spettacoli

L’ultimo tango di Almodóvar si chiama Volver

Il regista parla del nuovo film che girerà a metà luglio

Maurizio Cabona

da Madrid

«È una giornata storica per la Spagna», dice Pedro Almodóvar presentando il nuovo film, che girerà nei quartieri popolari della capitale, in Estremadura e nella Mancha, dove il regista è nato, a Calzada de Calatrava, nel 1951.
La gente famosa ha talora un’alta opinione di sé, ma l’enfasi posta da Almodóvar sulla data di ieri non è derivata dalla presentazione di Volver, il film che girerà dal 18 luglio (casualmente, l’anniversario dell’insurrezione franchista del 1936). No, con la definizione «giornata storica», Almodóvar allude all’approvazione del matrimonio omosessuale in Spagna. Un evento ovunque, un evento storico - in effetti - nella terra di Filippo II e di Franco.
«In uno Stato laico - esulta un Almodóvar canuto e casual - la Chiesa non può imporre la sua idea di famiglia come l’unica». Eppure il regista non mi annuncia le nozze, ma l’inizio del periodo di castità che sempre osserva quando «crea». E la sua ostentata omofilia contrasta con le belle donne sedute alla sua destra (Penelope Cruz e Yohana Cobo) e alla sua sinistra (Carmen Maura, Lola Duenas e Blanca Portillo). Il cast sono loro.
Signor Almodóvar, che famiglia racconterà in Volver?
«Una famiglia tradizionale, come quelle della mia infanzia».
Sarà una commedia?
«Una commedia drammatica...»
È un ossimoro!
«... Una commedia con morte, lacrime, sentimenti, emozioni, caparbietà, vitalità».
Modelli cinematografici evocati?
«Il romanzo di Mildred di Curtiz, Arsenico e vecchi merletti di Capra e il mio Che ho fatto io per meritare questo?».
Trama?
«Le complicate relazioni fra madri e figlie, il ponte geografico fra città e paesi, la cultura della morte...».
Volver, tornare, è di un tango.
«Cantato dal personaggio della Cruz, una casalinga con tanti problemi. L’aveva sentita dalla madre (la Maura), che a quel punto torna dall’aldilà».
Un fantasma.
«Da bambino ero circondato da fantasmi, in particolare quello di mio nonno, morto in un incidente quando mia madre era bambina».
Sua madre...
«... È morta lasciando un grande vuoto. Eppure me la sento tuttora accanto».
Com’erano le donne della Mancha nelle sua infanzia?
«Come i personaggi della Magnani o della Cardinale giovane, che urlavano: “Divento matta, divento matta!” (lo dice in italiano)».
Come Cukor, lei è un regista di donne. Come Cukor, lei ama gli uomini.
«Quando nei miei film parlo di uomini, finisco col parlare di me. Non è interessante. L’universo femminile è più barocco, fresco e meno soggetto ai pregiudizi».
Suo padre com’era?
«È morto molto prima di mia madre, quando giravo Pepi, Luci... e quasi non lo ricordo».
Forse lo ha rimosso.
«Forse. La mia era una famiglia tradizionale, dove il padre era il re della casa, incarnava l’autorità. A fare la differenza fra il XX e il XXI secolo è la struttura della famiglia».
Dalla «movida» del dopo-Franco al matrimonio gay. La Spagna è ormai come l’Olanda, il Belgio, il Canada.
«La "movida" è stata il momento migliore della mia vita. È venuta dopo quarant’anni molto oscuri».
Sono stati molto chiari quelli seguenti?
«Credevo che col franchismo fosse finita l’ultradestra.

Invece ne è sopravvissuta molta e il ritorno di quei biechi fantasmi mi preoccupa».

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