L’umorismo estetico degli antieroi della narrativa

Una rivista letteraria che si chiama La tubatura; l’inverosimile smarrimento e riscrittura di un libro (lungo 1461 pagine: un’opera-mondo?) con un titolo come Storia degli eroi di pace e di guerra da Garibaldi ai giorni nostri; personaggi in scena con nomi bellissimi e probabili, tipo Nello Benazzi, Neride Bisi, Gisella Borotti. C’è questo e moltissimo altro ancora in Fìdeg, romanzo d’esordio di Paolo Colagrande. Nella breve nota biografica, i suoi referenti sono indicati in Ugo Cornia, Daniele Benati e Paolo Nori, autore di un’affettuosa quarta di copertina. Vero, ma come dimenticare Gianni Celati dei Parlamenti buffi e, visto che qui si parla di eroi che sono bensì Garibaldi ma anche Ludwig Wittgenstein (non il filosofo, però, ma il fratello pianista Paul, che perdette il braccio destro durante la Grande guerra, così che molti compositori scrissero musica magnifica per la sinistra soltanto) e, a contrario ma senza acrimonia, di Umberto Eco e Sandro Veronesi. Colagrande prova affetto per i suoi personaggi e non importa se nessuno di loro sfugge a un gusto iperbolico che è spiegato nel Glossario finale, alla voce Umorismo estetico del paradosso sagace (Ueps). Al suo esordio, Colagrande rivela una maturità di genuino tragicomico, pronto a cogliere i profili di assurdo e surreale accompagnandoli però sempre da forte simpatia per le persone che li incarnano. Anche per questo, è decisiva la sua scelta linguistica. La voce narrante di Fìdeg è un parlato letterario persuasivo per quanto poco ammicca e strizza l’occhio a un potenziale lettore implicito di fascia alta, quella che è definita con arguzia del «lettore critico» o del «lettore semantico» Colagrande ha, con gli scrittori emiliani cui è correttamente imparentato, il gusto per il racconto piano delle cose. Di suo, però, ci mette un senso dell’umorismo che, se proprio deve avere un antenato, ce l’ha nell’irlandese Flann O’ Brien o nell’italo-argentino Rodolfo Wilcock. In questa linea si comprendono bene la vena polemica con Umberto Eco, che Paolo Colagrande associa alla montagna, visto che una copia dell’Isola del giorno prima gli «cadde giù nel bosco dal terrazzo dell’albergo Stella di Santa Croce».
Ma c’è da ridere anche sulle località di nascita di tanti eroi, anteriori e posteriori a Giuseppe Garibaldi: Cristoforo Colombo non è combattuto soltanto fra genovesi e spagnoli, perché pure i piacentini avanzano titolarità sui suoi natali, visto che sua moglie Felipa a Piacenza ci stava bene.

Alla fine, che è peraltro aperta come Umberto Eco insegna, prevale per Colagrande l’antieroe Bisi, perdente con il gusto dello sberleffo verso personaggi che solo in provincia posson sembrare grandi, come il qui ubiquo Sandro Veronesi. Romanzo antiromanzesco di raro pregio e, finalmente, un buon libro italiano a firma maschile.

Paolo Colagrande, Fìdeg (Alet, pagg. 205, 12 euro).

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