L’Unesco come Arafat: vuole cancellare Israele

Scelta negazionista per spezzare i legami storici fra gli ebrei e la loro terra: un gesto simbolico gravissimo

L’Unesco come Arafat:  vuole cancellare Israele

Bene allora è fatta: adesso quando si parlerà del patrocinio dell’Unesco, del suo bollo su un’iniziativa o una dichiarazione, sapremo che non parliamo di cultura, di scienza, di patrimonio culturale dell’umanità, ma di fiction, di Indiana Jones. Questo è il messaggio ricevuto ieri dal riconoscimento della «Palestina» come stato membro dell’Unesco. Ha ricevuto, dopo che la Lega araba aveva dichiarato di sponsorizzare completamente l’iniziativa, 107 voti su 173 paesi votanti, fra cui la Russia, il Brasile, la Cina, l’India, l’Austria, la Francia; 14 contro, fra cui gli Usa, il Canada, la Germania, l’Olanda, la Romania, la Lettonia; 52 astenuti, fra cui l’Italia e l’Inghilterra. Di nuovo l’Europa si è spaccata, e gli Usa che da tempo avevano chiesto all’Unesco di evitare questa mossa adesso ritireranno gran parte dei loro fondi che finanziano per il 20 per cento l’agenzia. Il voto di astensione è probabilmente legato alla scelta di mediare una posizione europea unitaria in vista dell’appuntamento più grosso, quello per il riconoscimento dell’Onu. Ma è difficile credere in qualsiasi mediazione. Le maggioranze automatiche dei paesi islamici con i «non allineati» e gli opportunisti europei daranno sempre ragione a chi ha torto.
È la prima agenzia dell’Onu a riconoscere come membro pieno Abu Mazen. È un gesto simbolico di una pesantezza inaudita dati i precedenti dell’Unesco, che ha dimostrato di essere professionalmente antisraeliana e dato che avviene mentre i palestinesi cercano la scorciatoia di evitare ogni trattativa per la pace. L’Unesco segue di fatto l’impostazione negazionista fondata da Arafat quando proclamò che il Monte del Tempio non era mai stata la sede del famosissimo tempio di Erode, una delle meraviglie del mondo di cui ci sono infinite tracce bibliche e storiche, e che si erge con i suoi reperti archeologici sopravvissuti alla distruzione romana che il mondo arabo seguita a cercare di cancellare. Cancellare l’eredità culturale ebraica in Israele infatti significa cancellarne la legittimità storica a risiedere a casa propria, e Arafat lo capì bene. L’archeologo Barkat ha dichiarato che si tratta di un negazionismo peggiore di quello della Shoah, Bill Clinton intimò a Arafat di smetterla di negare la presenza degli ebrei nella storia di Israele pena la sua uscita dai colloqui di Camp David: ma l’Unesco ha preso la fiaccola e ha lavorato sodo per cancellare i legami fra gli ebrei e la loro terra. Infatti l’agenzia dell’Onu ha adottato nella sessione di ottobre una proposta araba che dichiara che la cava dei patriarchi (cioè la fortezza di Hevron probabilmente costruita da Erode dove è situata la tomba dei padri d’Israele Abramo Isacco e Giacobbe) e la tomba di Rachele, dove da sempre le donne ebree pregano per la loro fertilità sono «siti palestinesi»,come anche la tomba di Giuseppe. Questa presa di posizione si è accompagnata a molte mosse di delegittimazione, come una conferenza su Gerusalemme da cui Israele è stata esclusa. Adesso i palestinesi cercheranno l’affidamento culturale per Betlemme, luogo di nascita di Gesù dove i cristiani, in costante diminuzione, soffrono la dominazione musulmana, e di chissà quanti altri siti cari alla tradizione cristiana e a quella ebraica. Si potrebbe arrivare al Santo Sepolcro. Ora, è provato che quando lo Stato d’Israele prende cura dei siti archeologici, consente a tutte le religioni libertà di accesso e di gestione. Non si conosce un’attitudine simile nei Paesi musulmani, e quel che possano fare i palestinesi fra cui l’influenza di Hamas è potentissima, è ignoto.


L’Autonomia Palestinese ha cercato questo riconoscimento con tutte le sue forze, e mentre Abu Mazen rifiuta in ogni modo di tornare al tavolo della trattativa e piovono missili sul nord d’Israele, riceve tuttavia questo regalo contro ogni spirito di buon senso. A che gioco giochiamo noi europei?

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