Cultura e Spettacoli

L’unico modo di ritrovarsi: perdere la via

C ome si fa a catturare un ragno senza ucciderlo? Si prende un bel bicchierone, lo si poggia sull’aracnide e lo si «accampana»; poi si fa passare un foglio di carta fra la parete e il bicchiere. Il gioco è fatto. E funziona anche se la bestia in questione non è il ragnetto che da decenni risiede stabilmente nella casa della nonna, ma un animale nero, peloso, dotato di due ragguardevoli antennine piegate «simili agli specchietti retrovisori dei pullman turistici». Un mostro, insomma, che «inscritto in una circonferenza come l’uomo di Leonardo, occuperebbe l’area del coperchio di una scatola di pomodori pelati».
La analogia è il frutto della mente (già, della mente: non tutti gli scrittori ne posseggono una) di Dario Voltolini, come a dire uno dei nostri più bravi e sorprendenti narratori. Sarà che Voltolini è torinese e da quelle parti, giù dalle Alpi, scendono certe brezze francesi dalle virtù taumaturgiche che schiariscono le idee e nello stesso tempo impediscono alla malapianta della volgarità di attecchire. Sarà che il primo, inevitabile passo sulla strada che conduce alla gloria letteraria consiste nel produrre uno scarto dalla norma, però senza darlo troppo a vedere. Sta di fatto che Foravìa (Feltrinelli, pagg. 93, euro 11) ossigena più di una passeggiata nei boschi.
«Foravìa», precisa l’autore, significa fuori dalla via, cioè eccezione. Fuori dal seminato, fuori dal tracciato quotidiano. Basta un contrattempo, un problema al motore, per esempio, e ci si ritrova «foravìa». Per Voltolini è il sale dell’esistenza, nonché il luogo dove il telefonino che non prende incontra il montaliano anello che non tiene. Si va «foravìa» in tutti e tre i racconti che compongono il volumetto. Nel primo, un indirizzo sbagliato conduce a una ruota nel fango e poi a una notte all’addiaccio. Il secondo è quello del ragno, e sia detto fra parentesi, per identificare a quale specie appartenga l’otto zampe (innocua, velenosa, letale?) non basta fare un salto sul web. Nel terzo, una ragazza di colore si tiene il ventre sotto un semaforo e non si può lasciarla lì, bisogna portarla al pronto soccorso. Anche se la ragazza fa di no con il capo, e insiste che sta bene.
Tre racconti memorabili, e attenzione a credere che Voltolini si piazzi sulla sua carrareccia a braccia conserte e non si sposti più. Il «foravìa» è un frattale, un modulo infinitamente replicabile, un viaggio sentimentale composto solo di digressioni. Per cui grazie, caro Voltolini, per non essertela cavata a buon mercato.

Per averci ricordato che anche il sentiero più selvaggio, dopo averlo percorso per qualche ora, comincia ad assomigliare a un’autostrada.

Commenti