L’unità socialista non rinneghi la cultura radicale

Pietro Mancini

Oggi che si ritorna a parlare dell’alleanza tra i socialisti e i radicali, non è forse inutile ricordare, a beneficio dei lettori più giovani, le comuni, storiche battaglie dei dirigenti e dei militanti del Psi e del Pr per la difesa e lo sviluppo dei diritti civili. Lo scorso anno, molto opportunamente, Marco Pannella ed Emma Bonino hanno celebrato a Roma il trentennale della vittoria laica e democratica, nel referendum del 1974. Che era stato promosso dai cattolici tradizionalisti e dalla Dc di Amintore Fanfani, allo scopo di abrogare la legge che introduceva il divorzio in Italia, che portava il nome di un battagliero deputato socialista, Loris Fortuna. Nel 1970, l’allora segretario del Psi, Giacomo Mancini, intervenne alla Camera dei deputati in difesa della legge Fortuna, chiarendo a Forlani e agli altri capi della Dc che i socialisti, seppure alleati di governo, non avrebbero mai rinunciato al loro impegno per fare dell’Italia un Paese meno oscurantista, più civile e più moderno.
Tra i dirigenti del vecchio e un po’ sonnolento Psi demartiniano dell’era pre-Craxi, non furono purtroppo molti gli esponenti che compresero, stimolando l’iniziativa del partito, l’importanza dell’impegno della sinistra non comunista per lo sviluppo delle libertà e dei diritti civili. Trent’anni dopo il centrosinistra guidato dall’ex democristiano Romano Prodi, gioca sulla difensiva attuando il catenaccio alla Trapattoni persino sulla difesa della legge sull’aborto e sulla laicità dello Stato, punti sui quali si è preferito furbescamente glissare nel documento programmatico dell’Unione.
La «melina» pre-elettorale e le ambigue manovre trasversali hanno il sopravvento sulle grandi battaglie ideali e politiche degli anni Settanta. Di recente, i socialisti dello Sdi hanno cercato di vincere le diffidenze dei diessini e della Margherita, peraltro guidata dall’ex radicale Rutelli, tentando di convincerli ad aprire le porte del rissoso caseggiato prodiano a Pannella, Bonino e Capezzone. Ma le reazioni sono state gelide, quando non fermamente contrarie, con Mastella che ha invitato il Professore a scegliere tra l’Udeur e i radicali. Imbarcando il vecchio e carismatico Marco, generoso ma imprevedibile, Prodi e Rutelli temono di perdere i consensi dell’elettorato cattolico.
In realtà, Boselli e i socialisti dello Sdi, anche sull’intricato nodo dell’alleanza con i radicali, appaiono timidi e impacciati, soprattutto perché non hanno il coraggio e l’autorevolezza politica, che non mancavano ai loro predecessori, per lavorare con convinzione all’obiettivo di unire nel Paese la cultura radicale, quella liberale e quella socialista. Per non scalfire l’egemonia dei ds, essi strizzano l’occhio a Pannella, ma solo per portare a casa un accordo tecnico, allo scopo di superare la soglia elettorale di sbarramento del 4 per cento.
Insomma, dall’ambizioso progetto dell’unità socialista, si rischia di passare al modesto cabotaggio di un’operazione di sopravvivenza in Parlamento. E quando i capi dello sdi lanciano ai compagni separati del nuovo Psi di De Michelis e Bobo Craxi l’ennesimo ultimatum («Al congresso di ottobre, dovete abbandonare il Cavaliere!»), eludono la questione di fondo. Quella che dovrebbe spingerli a sfidare con decisione nell’Unione le tendenze, tuttora egemoniche, massimaliste, giustizialiste e cattocomuniste che restano incompatibili con il dna di una rinnovata, credibile e autonoma forza socialista.

Che, sui problemi più importanti, in primis la lotta al fondamentalismo islamico, si ispiri alla fermezza di Tony Blair e non già all’indeciso e tentennante buonismo di Romano Prodi.

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