Cronache

L’universo in una mano

L’universo in una mano

Alessandro Massobrio

Il mondo, quello che i latini chiamavano mundus non era certo il nostro piccolo pianeta. Il mondo era l'intero universo. Abitato - come sosteneva Seneca - non soltanto dagli uomini ma anche dagli dei, uniti e stretti da un rapporto vicendevole di affetto ed interazione all'interno del quale le opere ed i pensieri assumevano una eterna risonanza.
La concezione del cosmo in senso sferico cresce e si afferma dall'antichità più remota. Come puntualmente fa osservare Aldo Caterino nella sua ricerca, la concezione dello spazio universale procede nella storia del pensiero occidentale in maniera parallela, vale a dire attraverso il globo e la carta. Il primo, che trae il suo etimo da gleba, la zolla di terra, che l'uomo afferra e quindi possiede carattere tridimensionale, è fondamentalmente una rappresentazione del mondo che si svolge nel tempo. Per cogliere l'universo nel suo movimento, occorre infatti che un emisfero volga su se stesso, rivelando quello successivo.
Il globo si presta, dunque, al desiderio di possesso. Sovrani ed imperatori lo reggono in una mano, rivelando così la propria onnipotenza. Se pensiamo alla celebre scena chapliniana, in cui il presunto dittatore nazista gioca a palla con una grande sfera di gomma, immaginando di poter disporre del mondo a proprio piacimento, vediamo riconfermata in epoca moderna la medesima antichissima convinzione.
Ben diverso invece è il concetto di carta. La carta, che trae la sua origine dal foglio di papiro usato per la scrittura, presuppone una visione del mondo infinitamente meno coinvolgente e dinamica. La carta è semplicemente uno strumento di conoscenza e come tale deve possedere quella asetticità che non presti il fianco né ad un prima e un dopo e neppure ad un davanti ed un dietro. La carta presenta, nello stesso tempo e nello stesso modo, lo spazio. La carta va esaminata, non afferrata. È uno strumento di lavoro, non un simbolo di potere. Non a caso i Tolomei avevano severamente vietato ai propri geografi di rappresentare l'universo attraverso il globo. Doveva ad essi bastare la carta, strumento di lavoro scientifico e non simbolo di esoteriche rivendicazioni di potere.
Ma i Tolomei, eredi in qualche modo della sconfinata sapienza egizia, non sono certamente gli unici soggetti di questa appassionante quanto lucida carrellata che attraversa lo spazio ed il tempo alla ricerca della rappresentazione della terra e del cielo.
Sostenuto da un apparato iconografico di primissimo piano, il volume ci conduce infatti attraverso le conoscenze astronomiche e geografiche dell'antichità preclassica e classica. Dalla sapienza dei sacerdoti egizi, intenti a scrutare la volta stellata, alla conoscenza più pratica, quasi tecnologica, di caldei e sumeri, che trattavano il cielo come il migliore e più fidato datore di vita e di lavoro.
Una immagine inedita del Theatrum orbium stellarum, il modello della volta celeste con al centro la terra ed alla sua periferia i cieli, attraverso i quali Dante risale verso al beatitudine divina, ci immette nella cosmologia tolemaica. L'Almagesto, il più grande libro sull'universo, scritto prima di Galileo, ci svela come l'incontro tra Oriente ed Occidente si sia svolta in un primo momento soprattutto a livello siderale.
Gli arabi infatti fanno propria la cultura greca, elaborandola successivamente in una serie di astrolabi di curiosissima concezione. Visto che i corpi celesti sono contemplati in prospettiva, così come li scorge l'occhio dell'uomo. Sfere che pendono da uno spazio concavo, all'interno del quale Allah ha collocato il credente.
Il Medioevo si annuncia come l'età dei lumi e della cultura divulgativa. I grandi compilatori di testi enciclopedici, che operano soprattutto nel tredicesimo secolo - basti citare per tutti Bartolomeo l'Anglico o l'avversario di Tomaso d'Aquino, Francesco Bacone - fanno propria e frammentano per i non specialisti - i re ed i potenti - il tesoro che proviene loro dalla eredità classica ed araba. Alcune splendide tavole riproducono il mappamondo, così come compare nel Libro delle proprietà delle cose. Vi è in queste immagini una semplicità ed una linearità di segno, che non deve essere scambiata per approssimazione o incapacità tecnica. Lo spirito della cultura occidentale è sempre presente e vivo.
L'età della Riforma e delle scoperte geografiche si annuncia con uno splendido dipinto di Hans Holbein il Giovane, dedicato ad un gruppo di ambasciatori, che, sotto piumati copricapo, recano al signore che si apprestano ad omaggiare, forzieri, viole e naturalmente la meraviglia dei globi. E che dire dello splendido Vermeer subito contiguo, il quale schiude innanzi ai nostri occhi l'incredulità dell'astronomo. Che si sporge, nel segreto del suo studio, verso il globo per palparne la stupefacente matericità.
Non si tratta di carta, di disegno, di rappresentazione. Quello che l'uomo di studi fiammingo sta toccando è terra ed è la terra al tempo stesso. In una parola, è il globo. L'antica gleba.
Aldo Caterino, L'universo in una mano, Il Portolano, Genova 2006, pag.

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