da Roma
A sessantacinque anni, età in cui la stragrande maggioranza degli italiani si gode la pensione, Vincenzo Visco detto Enzo vive una seconda giovinezza. Ventiquattromila voti di scarto alle elezioni politiche dellaprile 2006 lhanno proiettato ancora una volta alla guida della macchina fiscale italiana, anche se soltanto da viceministro, alle teoriche dipendenze di Tommaso Padoa-Schioppa. Per compensare larretramento formale, si è fatto riconoscere talmente tante deleghe (fra queste la signorìa sulla Guardia di finanza) da diventare, di fatto, molto più influente del suo superiore: un superviceministro. E, da vero uomo di potere, frequenta poco il palcoscenico politico - salvo gli obblighi parlamentari, che rispetta puntigliosamente - e dal suo ufficio di piazza Mastai, a Trastevere, lavora incessantemente al suo obiettivo: far pagare più tasse a tutti gli italiani.
Non sono gli avversari malevoli, ma i numeri a certificare la passione del supervice. Il Bollettino economico della Banca dItalia dello scorso aprile ricorda che la pressione fiscale è aumentata nel 2006 di 1,7 punti percentuali, raggiungendo il 42,3% del Pil; e stima che aumenterà ancora questanno, raggiungendo il 42,8%. «Il miglioramento dei conti pubblici deriva - osserva Bankitalia - dal forte aumento delle entrate», mentre la spesa corrente resta sui massimi storici. E così Padoa-Schioppa si fa bello a Bruxelles e negli altri fori internazionali, dal Fondo monetario in giù, grazie a Visco e non ai tagli di spesa. Schivo comè, impacciato nel parlare in pubblico a causa di una tossettina che probabilmente deriva dalla passione per il sigaro, Visco lascia che «TPS» si prenda i meriti del risanamento e lavora sodo per raschiare il fondo del barile tributario.
In questa sua personale crociata, Visco qualche volta prende lucciole per lanterne. È accaduto, ad esempio, la scorsa estate quando per dare una lezione ai «furbetti del quartierino», gli immobiliaristi dassalto alla Ricucci, ha inserito nella manovra correttiva una misura sulla tassazione delle compravendite che, nel giro di pochi giorni, ha fatto perdere un miliardo di euro di capitalizzazione in piazza Affari alle società del settore. Un secondo esempio riguarda il taglio del cuneo fiscale, il fiore allocchiello della politica economica del governo Prodi-bis. Per risparmiare, dagli sgravi fiscali del «cuneo» sono state escluse le banche, le compagnie assicurative e le società di public utilities come Eni ed Enel. LUnione europea ha poi obbligato il governo a far accedere ai benefici anche banche e assicurazioni. Oggi il governo vara apposite norme riparatrici dal costo di 500 milioni, un quinto del «tesoretto».
Da deus ex machina del fisco nazionale, il viceministro snobba quello locale. Nellottobre scorso, davanti alle commissioni congiunte Finanze e Tesoro, negò che la Finanziaria contenesse unaddizionale Ici. Aveva scordato la «tassa di scopo» a favore dei Comuni, cioè - appunto - laddizionale Ici. Nei giorni scorsi ha detto di non esser particolarmente interessato alla proposta rutelliana di tagliare limposta più odiata dagli italiani, lIci appunto: «Il dibattito non mi appassiona». Lha appassionato invece, eccome, la caccia alla talpa delle Finanze che aveva violato per 128 volte la privacy fiscale di Romano Prodi attraverso i computer dellAnagrafe tributaria. Si è poi scoperto che si trattava di «curiosoni», che agivano spesso da sedi periferiche. Il fatto che la stessa Anagrafe abbia oggi sotto controllo totale i conti correnti bancari di tutti gli altri italiani lo lascia, invece, del tutto indifferente.
Pur impegnatissimo fra controlli, verifiche, imposte, accise e tributi vari, il supervice non dimentica dessere uomo di partito.
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