L’uomo più piccolo del globo ucciso da un’ultima bassezza

Pingping, l’uomo più piccolo del mondo(74,61 centimetri di altezza), è morto a Roma sabato pomeriggio. Aveva 21 anni. Ne dà notizia il Guinness World Record.
Questo ha fatto tutta la vita, il fenomeno da Guinness. E così è stata comunicata la sua morte, con un annuncio dei Guinness.
Era una di quelle persone che si guarda senza far entrare aria nei polmoni, così non è successo niente. Un bambino vecchio compresso in un corpicino minuscolo. Un accenno d’uomo. Un folletto senza capelli che navigava nei vestiti e affogava nelle scarpe. Tutto troppo grande. L’uomo più piccolo che sia mai stato in grado di camminare, secondo le statistiche. Ma camminare per andare dove, secondo le statistiche?
E questo perenne sorriso sbieco per il pubblico come se nulla mai pesasse, ma tutto facesse male. E faceva male, temiamo. Troppa allegria in così poca carne.
Una malattia durata ventun anni che solo la settimana scorsa ha scavato un solco definitivo tra lui e l’esistenza. Si è spento come un cerino investito da una corrente d’aria. Accasciandosi a terra e non alzandosi più.
Certe vite, inspiegabilmente, ti predispongono all’abuso di sofferenza. Ti mettono alla mercé dell’affetto altrui dall’inizio alla fine e tu prendi quello che capita, anche se non è proprio affetto.
Due settimane fa stava registrando una puntata per la prossima edizione dello «Show dei record» (quello che andrà in onda a fine mese su Canale 5), si è sentito male, lo hanno portato in ospedale ma è morto quindici giorni dopo per complicazioni cardiache. Un cuore pieno di elemosine.
Nato a Wulanchabu, in Cina, poco dopo la nascita gli era stata diagnosticata l’osteogenesi imperfetta, una malattia che impedisce la normale crescita delle ossa e lo sviluppo del corpo. Il giorno che è venuto al mondo era piccolo come il palmo di una mano. E non cresceva mai. Non è cresciuto più. Settanta centimetri per metterci il cuore e tutto il resto che ci deve stare.
Ma la vita lo è andato a stanare una seconda volta. Nel 2007 è stato invitato a una trasmissione televisiva a Tokyo e da allora è diventato un fenomeno su internet. Poi è arrivato un documentario inglese, poi lo Show dei record, appunto, in Italia. Era la terza volta che Plingpling partecipava al programma di Canale 5. Ad accoglierlo, di solito, chiasso, applausi e la più nera delle allegrie. Plingplin che si arrampica sui cuscini, Plingplin che lava i capelli all’uomo più alto del mondo, Plingplin che porta una rosa a Victoria Silvstedt, Plingplin in braccio a Victoria Silvstedt... Una scena tutta slabbrata. Plingplin con la faccia di un infelice stanco di esserlo, in realtà. Una voce irreale da corde vocali compresse dall’elio e due mani minuscole, non adatte a tenersi la vita. Preso in mezzo a benevolenze a tempo, ad abbracci sforzati.
Un morso al cuore. Roba da mandare il sangue in caglio.
Però aveva il suo «pubblico», gli amici di facebook (che in rete lo avevano già fatto morire sei mesi fa), gli applausi una volta all’anno. E allora doveva essere contento Plingplin. Perché andava «sulla televisione», accanto alle caviglie della Silvstedt. E poi era stato scelto tra i testimonial per la presentazione del Guinness World Record. Un sacco di applausi, anche quella volta lì. Come campasse tutti i giorni, non lo sa nessuno. Era materiale da Guinness Plingplin. L’ultima cosa che ha visto, prima dell’ospedale, è stato uno studio tv. Arrampicato sugli sgabelli troppo alti, inquadrato troppo da vicino, troppo applaudito male. Anche quella volta lì. Ma non sapeva cos’altro chiedere. Dopo certi applausi, bisognerebbe lavarsi le mani.
Una brusca morte a fine di una vita lunghissima, sospettiamo.

Una di quelle vite su cui senti grondare, fin dal primo giorno, l’acquolina del tempo che ti aspetta. La famiglia lo rivuole quel corpo crudele. Che in un piccolissimo involucro tornerà in Cina e verrà cremato. Il conto alla rovescia è terminato.

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