L’uranio non durerà per sempre Solo per un millenio

Considerato che l’uranio necessario per il nucleare può essere considerato una fonte rinnovabile (inesauribile), perché può già ora essere recuperato - a costi sostenibili con resine a scambio ionico - dall’acqua di mare, che ne contiene 0,003 ppm per un totale di 4 miliardi di tonnellate, e che viene (ri)portato con continuità negli oceani dall’erosione delle coste e dall’apporto dei fiumi, perché allora Berlusconi, anche con l’appoggio dell’On. Tajani - commissario Ue per l’industria - non si impegnano affinché l’Ue riconosca il nucleare come fonte rinnovabile e con questo quindi non essere, l’economia italiana, stritolata, oltre che dal costo elevato dell’elettricità, dalle ecomulte conseguenti per l’impossibilità di rispettare sia Kyoto, in termini di emissioni di CO2, sia il pacco triplo 20% (-20% CO2; +20% en. rinnovabili; +20% efficienza) al 2020 imposto dalla Ue stessa, nel caso riuscissimo a varare il previsto piano energetico nazionale nucleare?
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In teoria tutto giusto, caro Cerofolini. Ma se il procedimento di estrazione dell’uranio dall’acqua di mare resta al palo da una quarantina d’anni e cioè da quando lo si saggiò in via sperimentale, una ragione c’è. Anzi, due. La prima è che per ora e tenendo conto che la concentrazione di uranio nel mare è di tre parti per miliardo, per ottenerne la quantità necessaria al funzionamento di una centrale di media potenza bisognerebbe «lavorare» 50 miliardi di metri cubi d’acqua. Ciò significa - oggi, dopodomani si vedrà - che l’energia richiesta nel procedimento di estrazione risulterebbe superiore a quella poi ottenuta con l’uranio estratto. La seconda è che sul concetto di fonte non rinnovabile occorre intenderci. Ad aver dato retta agli eco terroristi già da tempo l’umanità non disporrebbe - ma quante volte l’abbiamo ricordato? - di una trentina di risorse fondamentali, il petrolio in testa. Ma come si vede, i calcoli e le proiezioni matematiche sono una cosa, la realtà è un’altra. Prendiamo il legno. Per millenni il legno è stata l’unica fonte di energia e l’unica risorsa per le costruzioni di case e edifici, di navi, di mezzi di trasporto, di attrezzi, di suppellettili. Per millenni non si fece che ardere legna (Roma finì per abbattere foreste ampie come regioni per alimentare le proprie terme) e un ambientalista del primo secolo dopo Cristo avrebbe potuto benissimo affermare che continuando con quel ritmo di lì a qualche tempo non ci sarebbero stati più alberi da abbattere per mandare avanti la civiltà. Ma avvenne che non solo per qualche secolo la civiltà segnò il passo risultando meno bisognosa di legname, ma come più efficace fonte di energia si cominciò a sfruttare il carbone. Fonte non rinnovabile anch’essa e si sarebbe di certo esaurita se non fosse saltato fuori il petrolio. Insomma, caro Cerofolini, non è mai accaduto che venisse consumato l’ultimo grammo o l’ultima goccia di un elemento non rinnovabile. Mai, da quando apparve l’homo faber. Qualcosa è sempre sopravvenuto: il reperimento di nuove fonti energetiche, di nuovi materiali di costruzione e manifatturieri e, insieme, le innovazioni che hanno permesso di limitarne, a parità di prestazioni, il dispendio. E torniamo, ora, all’uranio: se ne trovano - nei giacimenti noti, badi bene - oltre 10 milioni di tonnellate. Se i reattori in funzione restassero quanti sono, 442, le riserve basterebbero per oltre mille anni. Tanti.

Ma di qui ad allora vuole che non si escogiti il sistema per ridurne il consumo o che non si sviluppi la già esistente possibilità di «rigenerare» l’uranio? Che non si faccia strada la «fusione fredda»? Se per assurdo ciò non dovesse accadere e se le centrali raddoppiassero o triplicassero allora sì: si renderebbe indispensabile estrarre, con tecniche meno penalizzanti, l’uranio da mare. Disciolte negli oceani ce ne sono 4 miliardi di tonnellate. Sarà anche una fonte non rinnovabile, ma a disposizione per decine e decine di millenni. Quanto basta e avanza, mi pare.

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